REGGIO EMILIA – Vi abbiamo parlato in altri servizi della trasformazione del Seminario in viale Timavo a Reggio, della sua nuova destinazione a sede dell’Università e della decisione della Diocesi di trasferire i seminaristi e la preziosa biblioteca. Oggi andiamo a conoscere nel dettaglio quali criteri sono stati adottati in questa ristrutturazione che rilancia al futuro un grande opera nata oltre 70 anni fa, evitandone il degrado.
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Risale al 1946 il progetto del Seminario, che fu poi inaugurato nel 1954 e che a novembre sarà ufficialmente nuova sede universitaria . Ma in questo cammino lungo oltre 70 anni ci sono elementi che raccontano una originale costante: intanto il progettista che per primo lo disegnò fu l’architetto Enea Manfredini e oggi a dare nuova vita alla struttura è stato chiamato il figlio, l’ingegner Giovanni. Poi la destinazione: nato per la formazione dei seminaristi, rivedrà altri studenti animare le aule e gli spazi. Ma come si è dovuti intervenire, con quali criteri e quali opere si sono rese necessarie? La vita media di un edificio è di 40 anni ma questa struttura è riuscita a rimanere attuale. La sfida non è stata dunque sulla struttura e sui volumi tutto sommato ancora adeguati ma si è lavorato molto sull’impiantistica.
“Le nuove parti impiantistiche si sovrappongono alla struttura architettonica, lasciandola leggibile – spiega l’ing. Giovanni Manfredini – Abbiamo dovuto inserire nuovi ascensori e le sale antincendio alle estremità dell’edificio”.
Anche le norme anti contagio per il Covid19 hanno fatto parte della ristrutturazione. “Gli ampi spazi consentono il distanziamento. Tutte le aule avranno impianti di ricambio aria con aria esterna, tutta l’impiantistica è quanto di meglio offre oggi la tecnologia”.
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