REGGIO EMILIA – “Spero di poter dire ‘papà non avevo capito niente, però mi sono data da fare perché ognuno possa scegliere’. Credo di aver chiuso il cerchio di una delle cose più importanti della mia vita e spero che mio padre mi perdonerà per avergli imposto cinque settimane di sofferenza”.
Ci può essere una storia di vita vera dietro una firma, come quelle che sono state raccolte, ai banchetti od online, dai comitati che sostengono il referendum per l’eutanasia legale: per approvarlo ne servono 500mila, ne sono state raccolte più di un milione. Negli studi di Decoder Stella Borghi, storica attivista reggiana per i diritti civili e promotrice dell’iniziativa, ha raccontato di suo padre: aveva 79 anni quando fu colpito da un ictus. I medici dissero che non c’era più niente da fare e che avrebbero cercato di non farlo soffrire. “Io mi sono opposta – ha raccontato – e mi sono opposta egoisticamente, perché non ero pronta a rispettare la fine di mio padre. Lui si è ripreso, ha capito la fregatura e si è lasciato morire di fame e di sete. Ci ha messo quattro settimane”.
L’8 ottobre le firme saranno presentate in Cassazione. Il referendum è abrogativo, il quesito si pone l’obiettivo di introdurre l’eutanasia legale attraverso la cancellazione di un articolo del codice penale che punisce l’omicidio del consenziente. “Si vuole permettere a una persona, malata terminale – ha aggiunto la Borghi – di scegliere di poter essere aiutata ad accorciare il periodo tra la sedazione profonda e la morte”. Una iniziativa contestata dal mondo cattolico, che ritiene che non si disporre della vita fino a questo punto: “Noi non contestiamo il mondo cattolico, il morire da cattolico. Uno è cattolico, muore da cattolico. Questa è una possibilità di scelta per i laici o per i cattolici che ritengono di aver sofferto abbastanza, non cambia niente per i cattolici”, ha concluso la Borghi.
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