
REGGIO EMILIA – Un’opera d’arte per di no alla violenza sulle donne. E’ stata presentata ieri mattina, a firma di Elena Mazzi. L’obiettivo è trasformare le parole, le emozioni, le riflessioni sulla violenza di genere in espressioni artistiche attraverso percorsi partecipati di confronto ed esperienze, per realizzare un’opera pubblica diffusa che, intrecciando un dialogo con i cittadini e le cittadine, contribuisca alla formazione di una cultura improntata al contrasto della violenza contro le donne. Un progetto portato avanti dall’Amministrazione comunale con le istituzioni e le associazioni del territorio.
Da un intenso lavoro con la comunità e l’ascolto del territorio le parole delle donne che hanno incontrato la violenza maschile direttamente o indirettamente sono divenute immagine: un pattern che si fa trama di una carta da parati che tocca e coinvolge luoghi simbolo di Reggio come la biblioteca Panizzi, lo spazio Gerra, il Centro Antiviolenza – Casa delle Donne e la sede delle Lunenomadi, lo spazio Iat e in provincia la Casa della cultura di Casina, ma che presto toccherà altri luoghi e spazi cittadini.

La genesi dell’opera
“Come poter rielaborare il tema della violenza contro le donne in maniera contemporanea? Quando mi è stato proposto – ha spiegato l’artista Elena Mazzi – di realizzare un’opera d’arte pubblica ho messo in discussione il concetto di arte pubblica stessa. Cosa vuol dire fare arte pubblica? Si tratta solo di mettere un monumento in piazza o vuol dire provare ad arrivare a tutte le persone attraverso sensibilità diverse? La carta da parati per me è stata la traduzione di questo processo, provare ad entrare negli spazi di tutta la città in maniera allargata, ascoltando, traducendo e riformulando. Per attuare questo processo ho avuto bisogno di andare per gradi, di avere dati alla mano per capire meglio la situazione. Un’artista a mio avviso, per produrre arte pubblica, deve soprattutto relazionarsi, sia agli spazi che alla persone che creano gli spazi pubblici, quindi la ricerca è fondamentale. Ho iniziato chiedendo materiali al Comune e all’associazione Non Da Sola come dati, esperienze e soprattutto interviste con operatrici che ogni giorno si confrontano con questo tema. È stato importante il confronto con persone che da più punti di vista raccontano il problema, come sia emerso e le loro esperienze dirette, in un processo che porti alla luce questi dati per capire la gravità del problema. Questa è stata la prima fase, quando sono arrivata alla conclusione che la carta da parati era la soluzione migliore per tradurre quest’idea, ho contattato la grafica reggiana Lucia Catellani e insieme abbiamo pensato di costruire dei laboratori, sia con donne vittime di violenza che operatrici, per far emergere questi loro sentimenti e punti di vista. Mentre facevo ricerca ho creato un vocabolario di parole e le ho messe in discussione durante i laboratori, indagando come le parole, le sensazione e le storie potessero diventare forme, linee, punti, superfici. Partendo dal libro di Kandisky “Linea, punto, superficie” abbiamo strutturato tre laboratori che riguardassero il segno, la forma e composizione, mirati a cercare di tradurre delle emozioni. Quello che è emerso sono forme irregolari, rimasugli e frammenti di segni, in cui abbiamo provato ad incastrare le parole in modo da creare una composizione che faccia avvicinare le persone. L’arte astratta colpisce l’occhio, anche per una questione di ricezione, attira lo sguardo e si è spronati all’avvicinamento e alla visione più attenta”.

Perché l’opera a Reggio Emilia
“Abbiamo voluto caratterizzare in particolar modo la nostra azione di contrasto della violenza contro le donne, anche in virtù di quanto accaduto in questo anno di pandemia – ha detto il sindaco Luca Vecchi – Quella di oggi è una giornata dunque che va in quella direzione. Lo facciamo in biblioteca Panizzi, uno dei più importanti luoghi culturali della città, attraverso la presentazione di un’opera d’arte dell’artista Elena Mazzi, dal titolo “Parole Parole Parole”. Un’opera che attraverso le parole delle donne ha il compito di riportare ogni giorno l’attenzione su questo tema e su questo impegno. Un’ opera che troverete anche in altri luoghi della città.
È un’opera di arte pubblica e penso che sia giusto sottolineare un significato ulteriormente importante insito nella realizzazione di questo progetto, ovvero che soprattutto la cultura ha pagato un prezzo molto alto con la chiusura dei musei, dei teatri, dei centri espositivi e, in una certa misura, delle biblioteche. Ritengo tuttavia che non ci sia futuro e non ci sia una comunità viva se non si tiene viva la creatività, la diffusione del sapere, la produzione e diffusione culturale”.

“Abbiamo provato – ha aggiunto l’assessora alla cultura e pari opportunità Annalisa Rabitti – ad immaginare un nuovo linguaggio, per nuove parole sulla violenza maschile contro le donne e l’abbiamo fatto offrendo alla città un’opera d’arte diffusa e fruibile da tutti provando a cambiare il punto di vista, adottando lo sguardo di una artista donna. Elena Mazzi si è mischiata alle persone, si è fatta cambiare, si è fatta attraversare da questa tematica. E il suo sguardo ha dato prova di saper vedere, ascoltare, ricreare vissuti complessi che segnano l’esistenza delle donne”.
“All’inizio – sottolinea Silvia Iotti presidente dell’associazione Nondasola – c’è stata una grandissima curiosità, una sfida. Ci siamo interrogate perché volevamo che i contatti con le donne fossero desiderati, ma ci siamo sorprese invece della loro generosità nel mettersi in gioco ed unirsi. Devo dire che Elena ha saputo costruire con le donne una relazione forte, che ha reso possibile che loro le affidassero delle parole. Queste parole sono un tramite; è un passaggio difficilissimo mettere in parole un’esperienza tanto dolorosa che si vorrebbe negare e che a volte è un punto d’approdo. Quando io ho visto per la prima volta la carta ho pensato che le parole sembrassero quasi sussurrate, come sono spesso sussurrate, in una sorta di doloroso segreto, le parole che le donne portano alla Casa Delle Donne”.
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