REGGIO EMILIA – Il decreto legislativo che i promotori del referendum chiedono di abrogare risale al 2012 ed è conosciuto come legge Severino, dal nome del ministro della Giustizia dell’epoca. Stabilisce il divieto di ricoprire incarichi di governo o di candidarsi a cariche elettive pubbliche per coloro che sono stati condannati in via definitiva per reati di mafia o terrorismo, di peculato, corruzione o concussione. Prevede anche la sospensione dalla carica per un periodo di 18 mesi in caso di condanna non definitiva per gli eletti nelle regioni o negli enti locali. I sostenitori del sì all’abrogazione affermano che la decadenza automatica di sindaci e amministratori locali ha portato in vari casi alla sospensione dalla carica di innocenti poi reintegrati al loro posto e che l’interdizione dai pubblici uffici deve essere affidata ai giudici, come avveniva prima del 2012. I sostenitori del no, pur riconoscendo l’esigenza di una revisione della legge Severino per la parte relativa ai sindaci, affermano che il quesito è sbagliato perché prevede l’abrogazione integrale del decreto e farebbe decadere una norma fondamentale di contrasto alla corruzione e ai reati contro la pubblica amministrazione.
Il secondo quesito referendario propone di limitare i casi in cui è possibile disporre l’applicazione di misure cautelari per pericolo di reiterazione del reato. I promotori sostengono che la custodia in carcere da strumento di emergenza è diventato una pratica abusata, anche in casi in cui l’imputato non è effettivamente pericoloso. Chi è contrario all’abolizione obietta invece che si farebbero decadere anche altre forme di misure cautelari indispensabili, come l’obbligo o il divieto di soggiorno, l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge violento, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, la sospensione della potestà genitoriale.
Gian Piero Del Monte
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