REGGIO EMILIA – E’ sicuramente troppo presto per commentare nel dettaglio la sentenza del processo di primo grado sulla vicenda degli affidi in Val d’Enza. Impossibile senza conoscere le motivazioni, che saranno depositate tra 90 giorni. Ma non è presto per dire che la sentenza pronunciata dal collegio presieduto da Sarah Iusto ha demolito da cima a fondo le tesi della pubblica accusa. Secondo i giudici di primo grado, nell’Unione Val d’Enza non c’era un sistema di malaffare. Non c’erano assistenti sociali che sottraevano i figli alle famiglie in modo immotivato. E che pur di ottenere il loro obiettivo falsificavano sistematicamente le relazioni al Tribunale dei minori e arrivavano al punto di manipolare i disegni dei bambini. Imelda Bonaretti, la psicologa dell’Ausl di Montecchio accusata di aver modificato il disegno simbolo dell’indagine per suggerire l’idea di abusi, è stata assolta. Per lei l’accusa aveva chiesto 6 anni e mezzo. Non c’erano psicoterapeuti che inducevano falsi ricordi di abusi nei minori e che lucravano sulle consulenze. Non c’erano famiglie affidatarie che si arricchivano. Tanto meno c’erano le sedute a base di elettrochoc di cui tanto si parlò all’inizio dell’inchiesta.
Ma cosa c’era allora? Lo diranno le motivazioni della sentenza. Una famiglia si è vista riconoscere il diritto a un risarcimento, in conseguenza della condanna di Francesco Monopoli per una relazione del 2018 ritenuta falsa. Federica Anghinolfi, andata a giudizio con più di 60 capi di imputazione, è stata condannata per la falsa attestazione di spesa di una psicoterapia.
Nei giorni caldi dell’estate 2019, mentre il caso Bibbiano divampava sui mezzi d’informazione, Carmine Pascarella, compianto responsabile del Servizio affidi e adozioni dell’Ausl di Reggio, espresse alcuni dubbi sull’indagine.
Pascarella, in un partecipato incontro ai Chiostri della Ghiara, disse che da quel momento gli assistenti sociali, chiamati ad esprimere un parere sull’eventuale allontanamento di un bambino, si sarebbero sentiti meno liberi nelle loro valutazioni, con il rischio di esporre il minore a situazioni di trascuratezza più prolungate. Secondo gli addetti ai lavori, è proprio quello che è accaduto. E non è accaduto per caso, come un effetto collaterale indesiderato, ma come risultato di una battaglia politica e culturale che è culminata nella creazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’affido dei minori.
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