REGGIO EMILIA – Non potrebbe esistere la food valley reggiana e modenese senza il lavoro degli immigrati. A dirlo in modo netto e inequivocabile è Fai Cisl Emilia Centrale che ha organizzato il convegno “Made in Immigritaly” in cui è stato presentato il primo rapporto sui lavoratori immigrati nell’agroalimentare. Un modo – secondo il sindacato – di fare uscire dall’invisibilità i lavoratori stranieri e di proporre alle istituzioni, ai loro datori di lavoro e alla società tutta un patto contro sfruttamento e caporalato.
“C’è bisogno di avere attraverso la Rete del lavoro agricolo di qualità, maggiore accoglienza, di offrire a questi lavoratori alloggi dignitosi e di creare le condizioni per migliorare l’inclusione sociale e l’integrazione”, spiega Daniele Donnarumma, Segretario di Fai Cisl Emilia Centrale.
I numeri della ricerca sono impressionanti: in alcune aziende lattiero-casearie reggiane si supera il 40% di lavoratori immigrati, con gli indiani che rappresentano l’8% del totale. Più in generale: negli allevamenti e nei caseifici del Nord, 6 lavoratori su 10 provengono dallo Stato indiano del Punjab, tanto che il rapporto conia il termine di “Parmigiano-Reggiano sikh”. Da qui la richiesta di Fai Cisl di far applicare meglio le leggi che già ci sono a cominciare da quella sui flussi e di aumentare le azioni di contrasto al lavoro nero. “Anche perchè – evidenzia Donnarumma – Dalle indagini di Ispettorato del Lavoro e Inps è emersa con forza la presenza di lavoratori irregolari o parzialmente irregolari”.
Richiesta di un nuovo patto sociale che parte, secondo Rosamaria Papaleo, leader di Cisl Emilia Centrale, dalla riforma della cittadinanza e da una grande operazione di verità che prenda atto che senza il lavoro degli immigrati, welfare ed economia non reggeranno a lungo. “Nei prossimi cinque anni – le fa eco il segretario di Fai Cisl Emilia Romagna, Daniele Saporetti – il fabbisogno di manodopera straniera a livello nazionale arriverà a 500mila unità e il sindacato stima che oggi ci siano già oggi oltre 200mila lavoratori irregolari, sfruttati nell’economia sommersa”.
Una sfida anche per la Regione: “Bisogna lavorare per promuovere il lavoro agricolo di qualità, sul fronte dell’integrazione culturale e linguistica, sulla formazione professionale, che è decisiva, e per incrociare meglio domanda e offerta di lavoro”, sottolinea Alessio Mammi, assessore all’agricoltura della Regione Emilia Romagna.
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