PIEVEPELAGO (Modena) – Quel giorno, il 28 gennaio, in quella zona, l’Appennino al confine tra Reggio e Modena, e a quell’altezza, la visibilità era di circa 20-30 metri. Praticamente nulla. Ivano Montanari, che aveva appena comunicato che sarebbe rientrato proprio per maltempo, potrebbe essersi trovato improvvisamente in un banco di nuvole denso, basso e molto umido, ad una temperatura al di sotto dello zero. Le ali dell’ultraleggero, un tipo di velivolo sprovvisti di sistemi di sbrinamento, sarebbero a quel punto gelate in poco tempo, rendendo ancora più difficoltose le manovre. E’ una delle ipotesi più accreditate tra quelle che in queste ore sono al vaglio di chi sta indagando sull’incidente aereo costato la vita al 61enne reggiano, rimasto letteralmente sepolto assieme al monoposto per oltre un mese nella fitta abetaia alle Tagliole di Sant’Annapelago.
Le inchieste, lo ricordiamo, sono due: quella dell’Agenzia nazionale per la sicurezza del volo, che mira a stabilire causa e dinamica a scopo di prevenzione, e quella della procura di Modena, che vuole escludere eventuali responsabilità penali.
La salma di Ivano Montanari è a disposizione della magistratura all’Istituto di medicina legale di Modena. Occorre decidere se sia necessario eseguire l’autopsia, per rilevare ad esempio un eventuale malore che il 61enne possa aver accusato prima di precipitare. E’ ancora da stabilire quando recuperare il velivolo. In quota c’è molto vento ed è in corso un’allerta arancione per raffiche fino agli 80 chilometri orari, una condizione che non permette di utilizzare l’elicottero dei vigili del fuoco col quale i pezzi dell’ultraleggero, a cominciare dal motore, verranno issati dal canalone in cui si trovano.
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