REGGIO EMILIA – I due mesi di chiusura dell’attività di screening a causa del lock down hanno determinato un ritardo diagnostico per 60 tumori al seno. Un ritardo che non ha determinato un aggravamento della malattia. I professionisti dell’Ausl al Medico e il Cittadino hanno spiegato il perché.
“Se c’è un ritardo diagnostico, mi aspetto che la malattia sia diagnosticata in uno stadio più avanzato e questo non è avvenuto”, le parole di Giancarlo Bisagni – direttore della Breast Unit. I numeri del 2020, anno della pandemia, sono sovrapponibili a quelli di un anno standard. Secondo i dati del registro tumori dell’Ausl, nel 2019 con lo screening sono state individuate 496 neoplasie alla mammella, 513 l’anno successivo. Il lavoro messo in campo per recuperare i ritardi causati dal lockdown non ha comportato un calo delle diagnosi.
La malattia è stata identificata a uno stadio iniziale in una percentuale di casi del 53 e 55%. I tumori già con metastasi erano il 2,6% nel 2019 e il 3% nel 2020: “Un ritardo di due mesi ha fatto sì che il tumore invece che essere individuato a 5 mm, l’abbiamo individuato a 6 mm, comunque piccolo”, ha aggiunto Bisagni.
Tra le attività che non si sono mai fermate, nonostante la pandemia, lo studio sperimentale “Bocce”: grazie a una metodica molto avanzata, sulle donne arruolate è possibile effettuare una mammografia che permette contestualmente di studiare la natura delle eventuali calcificazioni presenti. “E’ uno studio che è partito questa primavera ed è partito grazie al fatto che primi in Italia siamo stati dotati di un apparecchio che ci permette di eseguire le biopsie sotto guida mammografica con mezzo di contrasto – ha aggiunto Rita Vacondio, responsabile del servizio Mammografia – Primi in Italia secondi in Europa dopo Barcellona”.
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