REGGIO EMILIA – “Ha detto che non ha ucciso la figlia e che non ha mai pensato nemmeno lontanamente a questa ipotesi”. Così l’avvocato Enrico Della Capanna. L’avevano già detto i difensori, dopo i primi colloqui in carcere con Shabbar. Lo hanno ripetuto.
Polo azzurra indosso, il padre di Saman alle 9.50 è stato l’ultimo dei quattro imputati presenti – la quinta, la mamma di Saman, è latitante -ad essere scortato in aula dalla polizia penitenziaria. Ha quasi sempre tenuto il capo chino, e non ha autorizzato le riprese del suo volto. Non sembra si sia scambiato sguardi con i parenti imputati assieme a lui, col fratello in particolare. Sulla carta, il processo sarà un incrocio di dichiarazioni a confronto: quelle dello zio, del fratello e del padre della 18enne. Il 47enne parlerà davanti alla Corte il 26 settembre.
Intanto ha detto diverse cose ai suoi legali, ad esempio una sua verità sul giorno del suo arresto in Pakistan dopo un anno e mezzo di latitanza, lo scorso 15 novembre. “Fino all’arresto è sempre stato con sua moglie, e quando lo vengono a prendere lui è nel campo e sua moglie è in casa”, aggiunge Della Capanna.
Gli avvocati hanno anche ipotizzato altro: “Se ipotizzassimo che questo possa essere stato un delitto d’impeto, senza premeditazione questo movente cadrebbe… e poi: siamo proprio sicuri che quella sera Shabbar abbia in mano lo zaino di Saman?”.
In aula anche l’avvocato Barbara Iannucelli, che rappresenta il fidanzato di Saman Abbas: “Teniamo presente che gli Abbas hanno abbandonato il figlio minore e si sono completamente
disinteressati di Saman”.
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