REGGIO EMILIA – Quando venne costruito, nel 1892, il padiglione Lombroso ospitava malati cronici tranquilli ed era intitolato al primo direttore del San Lazzaro, Antonio Galloni. Nel 1904 però entrò in vigore una legge sull’assistenza psichiatrica che imponeva ai manicomi di dotarsi di sezioni di isolamento, con padiglioni separati per i ‘prosciolti’, i cosiddetti ‘pazzi criminali dimessi’, autori di reati, ma giudicati incapaci di intendere e di volere.
Fu scelto il casino Galloni per questa incombenza e fu trasformato in sezione Lombroso, noto studioso di antropologia criminale, divulgatore di una concezione molto seguita all’epoca, e cioè che l’inclinazione al crimine fosse una patologia, insita nelle caratteristiche anatomiche della persona. Il padiglione da allora diventò un girone dantesco, con l’aggiunta di due ali di celle di isolamento e di una cinta muraria. Nel 1930 il codice Rocco stabilì che i prosciolti fossero ricoverati in appositi manicomi criminali e le piccole celle del Lombroso furono destinate ai ‘furiosi’, cioè ai ricoverati più agitati.
Ebbe fra i suoi ospiti per qualche tempo anche il pittore naif Antonio Ligabue. Il Lombroso fu dismesso negli anni ’70 e fu scelto per il museo di storia della psichiatria. Fa parte della rete dei Musei Civici, dopo un restauro conservativo delle tracce del suo passato. Sono esposti gli strumenti di contenzione o di terapia, dalle camicie di forza alle macchine per l’elettroshock, dai caschi del silenzio all’urna che faceva cadere gocce d’acqua sulla testa del malato, con la pretesa di calmarlo, a dimostrazione di quanto il San Lazzaro fosse un luogo di dolore e di costrizione, di violazione dei diritti umani.
Gian Piero Del Monte
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