REGGIO EMILIA – “Lo dico con tutto il rispetto per gli organi inquirenti, ma io in più di vent’anni di avvocatura, per casi di omicidio o sequestro di persona non ho mai visto indagini fatte in tre o quattro giorni e al quinto giorno si obbliga una persona ad andare in carcere”.
Se da un lato esprime soddisfazione per la scarcerazione dei propri assistiti (la figlia e il genero della vittima, Giuseppe Pedrazzini), l’avvocato Ernesto D’Andrea usa parole molto dure nei confronti del quadro accusatorio formulato dagli inquirenti, coordinati dal sostituto procuratore Piera Cristina Giannusa.
“Come si fa a parlare di omicidio se ancora non si ha la certezza che si sia trattato di questo”, ha spiegato il professionista, aggiungendo: “Se fosse morto per cause naturali, avremmo tenuto in carcere tre persone per tutta la durata delle indagini preliminari?”.
Il legale fa anche riferimento alle condizioni di salute del defunto che potrebbero far ipotizzare una eventualità diversa dall’omicidio:
“La vittima ha avuto sbandamenti a livello di capacità mentali conseguenti a un ictus avuto in precedenza e ad una ricaduta avuta a dicembre”.
All’obiezione sul perché i famigliari non ne avessero denunciato la scomparsa, l’avvocato replica così: “Mancata denuncia? Fa parte della soggettività di ciascuno. I miei clienti hanno detto di non sentirsi in dovere di fare denuncia. Ognuno ha una sensibilità, magari dopo un giorno dalla scomparsa c’è chi sarebbe andato a fare denuncia e chi no. Ma non l’hanno presentata nemmeno i fratelli e le sorelle che invece sono già corsi in Procura per costituirsi parte civile”.
Dal canto suo l’avvocato Rita Gilioli, che assiste la moglie di Pedrazzini, in merito all’autopsia ha infine specificato: “E’ in corso e proprio per questo è ancora tutto molto incerto”.
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