MODENA – Tanti contagiati, ma una bassissima percentuale di anticorpi al Covid: è il risultato di una ricerca condotta dall’università di Modena e Reggio e da quella di Glasgow, dalla quale emerge anche la scarsa attendibilità dei test sierologici se eseguiti prima che siano trascorse almeno due settimane dall’inizio della malattia.
“Siamo lontanissimi dall’immunità di gregge che qualcuno paventa – ha commentato il prof. Antonio La Marca di Unimore – e questo per effetto del lockdown e del corretto utilizzo dei dispositivi di protezione”. Il concetto dell’essere “lontanissimi dall’immunità di gregge” di cui parla il prof La Marca lo si desume molto facilmente dai dati della cosiddetta “sieroconversione”, cioè la percentuale della popolazione positiva agli anticorpi: oscilla tra lo 0,13 di Rio Grand do Sul in Brasile al 9,6 di Wuhan, la città della Cina dove tutto è iniziato, passando per l’1,2% di Edimburgo e per il 3% di Parigi. Il dato è molto basso anche nella fascia più esposta, quella dei sanitari: in Italia in questa categoria si va dall’1,5% riscontrato a Bari al 5,25 di Padova.
La Marca, ginecologo e docente di Unimore, ha coordinato la ricerca che il nostro ateneo ha messo in campo assieme a quello di Glasgow. I professionisti hanno analizzato la letteratura Covid, che in soli tre mesi conta già 20mila studi in tutto il mondo. “Abbiamo trovato 25mila casi – ha spiegato La Marca – è un numero che ci permette di dire che i dati si avvicinano molto alla verità”.
Oltre a fotografare il livello di immunità a ora raggiunto, la ricerca è uno strumento importante per leggere e quindi utilizzare al meglio i test sierologici, perché fa emergere la loro reale – dice il professore – performance diagnostica, la loro efficacia che nei primi tre giorni della malattia, ovvero nella fase acuta, è pari allo 0% e diventa del 30% dopo una settimana, per poi crescere. “Se li si fa prima di due settimane, c’è il rischio di falsi negativi”, ha spiegato La Marca.
I test sierologici, secondo questa ricerca, non sono utili come screening mentre lo sono e lo saranno molto per arrivare al tanto atteso vaccino. “Il tampone, a ora, è lo strumento più efficace nella fase acuta della malattia”.
Il test sierologico, utilizzato come strumento di screening sulla popolazione in questa fase epidemia, rappresenta comunque un valido strumento per le politiche di prevenzione e contenimento dell’infezione e rientra nella logica delle tre T – testare, tracciare, trattare – che è stata positivamente applicata in molte regioni italiane.
Per la corretta identificazione dell’infezione da SARS-CoV-2 sin dalle prime fasi della malattia, invece, proprio perché lo sviluppo di anticorpi richiede tempo, lo strumento diagnostico che dall’inizio della pandemia è stato utilizzato sui pazienti con sintomatologia sospetta è il tampone. Ciò per offrire ai cittadini una diagnosi corretta in tempi utili.
Così come il comunicato riportava, i test sierologici “hanno un ruolo in associazione ai tamponi perché permettono di aumentare la capacità di identificare quei soggetti affetti che per svariate ragioni sono risultati negativi al tampone rino-faringeo”. La misurazione degli anticorpi resta inoltre un ottimo strumento di screening “per tracciare la diffusione della malattia nella popolazione e per testare l’efficacia della sieroconversione nei futuri test vaccinali”.
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