REGGIO EMILIA – La delibera della prima commissione del Csm che propone il trasferimento del procuratore capo Marco Mescolini è un documento a suo modo abbastanza impressionante.
Nelle oltre 30 pagine non si risparmiano certo le critiche a Mescolini, come peraltro Tg Reggio ha evidenziato nei giorni scorsi. Vi si legge anche, però, che il procuratore di Reggio Emilia nell’estate 2020 è stato oggetto di una “campagna mediatica”, di una “operazione di discredito” – così scrive il relatore Nino Di Matteo – tesa a descriverlo come un magistrato “propenso a proteggere gli esponenti del Pd”. E’ così?
Mescolini ha operato in modo non imparziale per ragioni politiche? La prima commissione del Csm dice di no e spiega che il procuratore è “incolpevole” rispetto alla circolazione di quelle accuse e di quei dubbi. E aggiunge, a scanso di equivoci, che il trasferimento per incompatibilità ambientale si applica ai magistrati per “causa indipendente da loro colpa”.
E’ qui che inizia una lettura del contesto che suscita non poche perplessità. Gli attacchi a Mescolini di alcuni esponenti politici di Fratelli d’Italia e Forza Italia, uno dei quali condannato per corruzione, diventano la prova che “anche una parte della società civile nutre dei dubbi sulle motivazioni che inducono il procuratore a effettuare determinate scelte investigative”. Gli articoli di stampa che riferiscono di quegli attacchi vengono letti nella delibera come la dimostrazione che la “collettività” – così viene definita – sospetta che il procuratore non sia imparziale.
La richiesta di un singolo avvocato, Luca Tadolini, noto per le sue posizioni di destra, che l’Ordine si esprima sulla vicenda, viene descritta come la manifestazione del disappunto verso Mescolini di “una parte del foro”, ignorando che la richiesta fu bocciata all’unanimità dal consiglio dell’Ordine degli avvocati. L’affermazione di una delle sostitute firmatarie dell’esposto, secondo la quale il comportamento di Mescolini avrebbe creato disagio tra polizia e carabinieri, viene presa per oro colato senza avvertire la necessità di ascoltare i diretti interessati.
“Non è questa la sede ove verificare la correttezza delle scelte investigative – scrive la commissione – essendo sufficiente accertare che sulla figura del procuratore aleggia un clima di sospetto”. Dunque, basta il sospetto. E se basta il sospetto si arriva a una conclusione che appare paradossale: il principale artefice dell’inchiesta Aemilia sulla ‘ndrangheta non deve più fare il magistrato in Emilia.
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