REGGIO EMILIA – C’è un collegamento diretto tra i 13 milioni di debiti extra emersi nei giorni scorsi nei conti di Vismara, che mettono in forse il buon esito del concordato, e una complessa operazione finanziaria, rivelata due mesi fa da Tg Reggio, che ebbe per protagonista il gruppo Ferrarini.
I debiti che ora Vismara è chiamata a rimborsare a Intesa Sanpaolo traggono origine proprio da quella operazione. Si tratta di un mutuo ipotecario da 32 milioni di euro erogato da Veneto Banca nel luglio 2014 in due tranche, rispettivamente da 15 e 17 milioni, a Immobiliare Vendina, società della famiglia Ferrarini. Immobiliare Vendina è proprietaria dello stabilimento Vismara di Casatenovo, in provincia di Lecco. A garanzia del rimborso del mutuo, Vendina cedette a Veneto Banca i futuri canoni d’affitto, cioè le somme che avrebbe incassato da Vismara negli anni seguenti per l’utilizzo dello stabilimento.
Dopo il crac di Veneto Banca, nel 2017, la titolarità di questi crediti futuri passò a Intesa Sanpaolo. E i 32 milioni? Che fine avevano fatto? Erano stati tutti utilizzati o per estinguere debiti preesistenti verso Veneto Banca o per comprare azioni di Veneto Banca, attraverso una miriade di passaggi che facevano transitare il denaro attraverso i conti di 5-6 società o persone fisiche della galassia Ferrarini in Italia e all’estero prima di arrivare a destinazione.
Il mancato rimborso del mutuo ha fatto scattare il decreto ingiuntivo: 13,25 milioni di euro per gli affitti dello stabilimento Vismara maturati dal luglio 2018 al dicembre 2022. Ma perché questi debiti non erano stati conteggiati nel concordato omologato? Perché il commissario giudiziale Franco Cadoppi aveva ritenuto che i finanziamenti di Veneto Banca ai Ferrarini per l’acquisto di azioni dell’istituto violavano la legge e la natura illecita dell’operazione comportava la nullità degli atti ad essa collegati. Dunque il rimborso, a giudizio del commissario, non era dovuto.
Il tribunale di Lecco ha deciso diversamente, anche se ha concordato sulla irregolarità di quei finanziamenti: il giro che il denaro fece tra una mezza dozzina di conti correnti prima di essere usato per comprare le azioni Veneto Banca, scrive il giudice, serviva a “consentire il mascheramento della complessiva operazione in frode” ai divieti di legge.
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