REGGIO EMILIA – “In una situazione di declino demografico, anziché scegliere la strada dell’aiuto alla maternità si nasconde ipocritamente l’origine vera di questa decisione: gravare meno sulle strutture ospedaliere“. Parole che il vescovo di Reggio affida a un comunicato, nel quale critica la “depenalizzazione” dell’aborto, considerato reato prima della legge 104 del ’78.
Monsignor Massimo Camisasca commenta l’annuncio del ministro Roberto Speranza: l’ipotesi di nuove linee guida sull’interruzione farmacologica volontaria di gravidanza. La pillola abortiva potrà essere assunta non più entro le prime sette settimane di gestazione ma entro le prime nove, e senza più necessità del ricovero di tre giorni, cosa che comunque all’estero e in alcune regioni d’Italia come l’Emilia-Romagna già non è più obbligatoria. La somministrazione della Ru486 potrà avvenire nelle strutture sanitarie pubbliche o private convenzionate in day hospital, dopo mezz’ora la donna potrà essere dimessa. Modifiche ipotizzate dopo il parere favorevole dell’Istituto superiore della Sanità in merito alla sicurezza del metodo, evidenze scientifiche alla mano.
Le affermazioni del vescovo di Reggio sono perentorie: “Esprimo totale contrarietà – scrive – La depenalizzazione dell’aborto ha portato a una cultura di morte in cui la decisione della donna di interrompere la gravidanza è sempre più banalizzata. Sarà sola, a casa con il proprio dolore e le possibili conseguenze negative sulla sua salute. La tristezza nasce in me soprattutto nel leggere alcune affermazioni di parlamentari riportate dai giornali, come ad esempio questa: ‘Una risposta civile e moderna, che spazza via ogni concezione medievale del ruolo delle donne'”.
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