VILLA MINOZZO (Reggio Emilia) – “Quando rimani sotto una valanga, chi è con te ha 15 minuti di tempo e in quel momento è partito l’orologio”.
E l’orologio interno di Daniele è scattato al mezzogiorno del 13 febbraio 2021: 15′ per trovare e mettere in salvo il compagno di escursione, a 2mila metri d’altitudine, con la temperatura -17° C tra la nebbia e il vento a 120 km/h, tra la realtà e il sogno. O meglio, l’incubo.
Daniele Caltabiano, 31 anni, modenese, appassionato di scialpinismo da 12 anni e da 9 volontario del Soccorso alpino, vista la sua esperienza era in testa al gruppo che dal rifugio monte Orsaro era partito alle 9.30 per la scalata al Cusna. Con lui Pier Paolo Flammia, 36 anni, e Matteo Marini, 41, anche loro modenesi. Hanno sbagliato quella che in gergo si chiama “traccia di salita” e si sono trovati sul versante Ovest, alla Costa delle Veline.
Si è innescata la valanga. Daniele è rimasto fuori. Ha chiamato Pier Paolo e l’amico gli ha risposto, 50 metri sotto. Matteo, invece, era sepolto. Ed eccolo allora l’orologio interno: istinto e logica, dispositivi elettronici di geolocalizzazione e pala per scavare. “L’ho trovato – ha raccontato a Tg Reggio – gli ho liberato la testa e le vie aeree: respirava male, l’ho fatto rinvenire”. Ha chiamato il 118, poi l’ansia: Matteo era salvo, ma Pier Paolo ancora non era risalito. “ho fatto in su e in giù la valanga, non c’erano segnali… per me era morto”, ha confidato Caltabiano.

La voragine in cui era sepolto uno dei tre escursionisti (foto Telereggio/Reggionline)
In realtà, l’amico era stato soccorso più a valle, ma questo lui non lo poteva sapere. Con la forza della disperazione, si è riconcentrato su Matteo che andava liberato completamente. Era stato sommerso in piedi, con ancora gli sci attaccati: “Quando ti travolge una valanga – ha spiegato Daniele – è come se ti piombasse addosso una colata di cemento, per cui quando ti liberano la prima cosa che ti viene da fare è muoverti, ma nel sangue freddo ci sono tossine che possono causarti un arresto cardiaco. Quindi, gli dicevo di stare calmo, di fare un po’ per volta… Ho scavato quasi tre metri”.
Quell’orologio lì, quello scattato dentro Daniele, si è fermato alle 18 quando tutti e tre gli amici sono stati portati al rifugio monte Orsaro e poi all’ospedale di Castelnovo Monti. “Ho dei grandi geloni alle mani, la montagna non è una roulette russa: un po’ di sfortuna ci può essere, ma se ci sono le competenze, e non le maturi da un giorno all’altro, riesci a venir fuori anche dalle situazioni più brutte”.
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