REGGIO EMILIA – Nell’ultima puntata del nostro approfondimento su 25 anni di urbanistica, abbiamo visto che la svolta avviata nel 2015 non è stata priva di difficoltà. L’amministrazione comunale, ad esempio, non ha potuto fermare i piani urbanistici già convenzionati. Ma questo non è stato l’unico ostacolo sulla strada del contenimento del consumo di suolo.
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Confermare ciò che non può essere rimesso in discussione e riportare a territorio agricolo il resto. Era questa la bussola del Piano urbanistico generale della Giunta Vecchi. Se i piani convenzionati, come abbiamo visto, non potevano essere cancellati, il sindaco e l’assessore Pratissoli volevano limitare il consumo di suolo ricorrendo a una norma del Piano Operativo Comunale del 2013. Una norma che assegnava alle imprese 5 anni di tempo per arrivare all’approvazione dei progetti. Passati i 5 anni, alla scadenza del Poc, i diritti edificatori sarebbero stati cancellati.
Questa interpretazione delle norme da parte del Comune portò al blocco di numerosi piani urbanistici. Il più noto era quello di Conad a Ospizio, nell’area della ex Casa di riposo, che nell’aprile 2019, quando ci fu la scadenza del Poc, non aveva ancora completato l’iter dell’approvazione. Ma ce n’erano diversi altri: un insediamento residenziale a Canali, un altro in via Luxemburg, dietro il nuovo supermercato, uno da più di 120 appartamenti nell’area del bosco urbano di San Prospero, un altro ancora a San Rigo e così via.
Ma queste scelte non piacevano a tutti. In Comune arrivarono 112 osservazioni al Pug che puntavano a ripristinare le capacità edificatorie cancellate: chiedevano 750mila metri quadrati di residenziale, per circa 2mila appartamenti, e un milione di metri quadrati per aree produttive e servizi. Alcuni proprietari di aree non si limitarono alle osservazioni, ma si rivolsero al Tar. E chiesero i danni al Comune: la società Edil Belli 5 milioni di euro, l’immobiliare Nuove Residenze più di 10 e così via.
E il Tar? Il Tar diede ragione alle società immobiliari, perchè la legge urbanistica regionale in vigore all’epoca, quella del 2000, stabiliva che non era necessario avere ottenuto l’approvazione del progetto entro 5 anni: bastava averlo depositato. E la legge regionale prevale sulla norma comunale. Il Comune fece ricorso, ma il Consiglio di Stato lo respinse, rimettendo in moto anche quei piani urbanistici, come Ospizio, i cui promotori non avevano fatto ricorso.
Con la sentenza del Consiglio di Stato siamo ormai ai giorni nostri ed è il tempo di tirare le somme. Lo faremo nell’ultima puntata. (8/continua)
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