REGGIO EMILIA – Nella fase di passaggio che la sanità reggiana sta vivendo, c’è un capitolo che riguarda il Santa Maria Nuova. E naturalmente è un capitolo importante.
Assai più che in passato, l’ospedale è diventato il perno della sanità provinciale, accentrando e assorbendo funzioni e attività che prima venivano svolte sul territorio. Tra i sindaci della provincia, però, c’è chi sottolinea che Parma ha più posti letto in rapporto alla popolazione, mentre altri lamentano che Modena riesce a ottenere più fondi dalla Regione (per non parlare poi di Bologna).
Il fatto che negli ultimi anni alcuni bandi per la ricerca di medici per il pronto soccorso e per l’ex guardia medica siano andati deserti viene interpretato da alcuni come una perdita di attrattività di Reggio, anche se il fenomeno in realtà non conosce confini ed è generalizzato. L’imminente pensionamento di alcune figure di riferimento della direzione medica viene vissuto con una sensazione di disorientamento.
Il Santa Maria Nuova vive una crisi di identità? La sofferenza dell’ospedale cittadino è in realtà la sofferenza dell’intera sanità pubblica. Dopo il riconoscimento quale Irccs nel 2011, dopo l’inaugurazione del Core nel 2016, dopo la creazione dell’azienda sanitaria unica nel 2017, Reggio ha forse bisogno di un nuovo progetto. Nel 2026 dovrebbe essere completato il Mire, un progetto pensato in tempi lontani e diversi, voluto forse più dalla politica che dagli addetti ai lavori, che ha assorbito e assorbirà molte risorse. Ora è forse il tempo di un grande investimento diffuso sulla medicina territoriale.
Sul nuovo direttore generale, il presidente della Regione De Pascale sembra intenzionato ad ascoltare il territorio e a decidere prima del 31 gennaio. C’è una candidatura interna per così dire naturale, quella dell’attuale direttore amministrativo Davide Fornaciari. Serve un nome per un progetto, sapendo che la sfida dei prossimi anni sarà quella per la salvezza del servizio sanitario nazionale.
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