REGGIO EMILIA – Ucciso a botte in testa. “Aveva il cranio fracassato”, ha detto il sostituto procuratore Valentina Salvi, descrivendo la scena del crimine nelle dichiarazioni iniziali davanti alla Corte d’Assise presieduta da Cristina Beretti. Corte che dovrà determinare se a mettere in atto quell’aggressione violentissima e mortale per il 51enne Aniello Iazzetta sia stato Milan Racz, che si proclama innocente.
Il 35enne slovacco era in aula, affiancato da un’interprete. E’ accusato di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi: un’accusa potenzialmente da ergastolo. Sul movente che avrebbe mosso l’imputato, Salvi non si è espressa, annunciando che emergerà dai testi che via via la procura chiamerà a deporre. Tra loro, la compagna dell’imputato, inizialmente indagata per favoreggiamento e la cui posizione è poi stata stralciata. E poi gli investigatori e chi, quel 16 giugno 2021, ha trovato Iazzetta privo di vita, ucciso, secondo gli accertamenti medico-legali, quattro giorni prima nel suo appartamento di via Stalingrado, laterale di via Emilia all’Angelo a Reggio. Racz, ha detto Salvi, da circa un anno viveva nello stesso appartamento di Iazzetta, che era solito ospitare persone senza fissa dimora per guadagnare qualcosa.
Tra i testi dell’accusa, anche due persone che sarebbero state presenti quel giorno nell’appartamento: il coinquilino di Iazzetta, colui che poi ha dato l’allarme qualche giorno dopo, e Maurizio Carbognani, condannato nel 2014 in via definitiva a 5 anni per omicidio preterintenzionale: 13 anni fa al Catomes Tot aggredì, facendolo cadere, l’82enne Nerino Medici, che morì dopo 10 giorni di ospedale.
“Bisogna capire chi ha ucciso Iazzetta e noi ci concentreremo sull’attendibilità del testimone oculare”, ha detto Ernesto D’Andrea, avvocato di Racz. In aula anche la sorella e il cognato di Iazzetta, che assieme alla figlia dell’uomo si sono costituiti parte civile. La vittima dell’omicidio aveva alle spalle una storia di vita e anche giudiziaria travagliata: era stato prima condannato, poi nel 2015 assolto con formula piena in appello, dall’accusa di violenza sessuale nei confronti della figlia minorenne. “E’ un gesto simbolico, c’era chi gli voleva bene; quel processo poi finito in niente portò la figlia fuori di casa, ma lei ha mantenuto i rapporti col padre”, ha dichiarato Andrea Davoli, avvocato delle parti civili.
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