TOANO (Reggio Emilia) – Non ha proferito parola Marta Ghirardini. No comment anche da parte del suo avvocato. Per la vedova di Beppe, come era chiamato in famiglia, prende il via il processo. Su di lei pendono le stesse accuse rivolte alla figlia e al genero. Secondo la procura la sua posizione sta sullo stesso piano di quella dei due freschi di condanna. Allo stesso modo la pensano i familiari che per primi si erano allarmati per le sorti di Giuseppe Pedrazzini: “Per me sono tutti e tre nessuno sconto. Lei aveva il dovere di dire ‘salvo mio marito’ perché lei l’aveva sposato”.
Un nonno costretto all’isolamento e lasciato senza le necessarie cure previste dalla malattia di cui soffriva. Lasciato sostanzialmente morire e poi gettato nel pozzo dietro casa. Macabri retroscena ricostruiti nelle udienze. Floriana, sorella della vittima, non sa dire se il movente di tali accanimenti sia riconducibile a una questione di soldi. “Non potevamo mai pensare che succedesse una cosa così nella nostra famiglia. Purtroppo è successo, a malincuore. Non ce l’abbiamo più”.
Dare voce a Giuseppe. Con questo obiettivo si sono costituiti parte civile le sorelle e il fratello. “Ci ho sempre creduto, è stata fatta giustizia”, commenta Claudio Pedrazzini. “Non credo ancora che a mio fratello abbiano fatto quello che gli hanno fatto. Sono contenta che la giustizia abbia fatto il suo corso – così l’altra sorella Luciana – Beppe doveva avere voce. Abbiamo voluto credere fino alla fine e abbiamo fatto bene. Sono stati 15 mesi veramente lunghi. Con ansie e non solo ansie. Perché ci hanno tolto un pezzo della della nostra vita. Ci hanno tolto la voglia di uscire, di andare. Abbiamo cercato di fare il possibile per Beppe, lui meritava giustizia”.
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