REGGIO EMILIA – Tre dei cinque quesiti referendari su cui gli elettori saranno chiamati a pronunciarsi il 12 giugno prossimo intervengono sull’ordinamento giudiziario.
Il più discusso è sicuramente quello della separazione delle funzioni fra giudici e pubblici ministeri. Oggi, i magistrati nella loro vita professionale possono passare da una funzione all’altra per quattro volte. Secondo i proponenti, questa norma compromette il principio della terzietà del giudice e della parità fra accusa e difesa. Se vincesse il sì, a inizio carriera il magistrato dovrebbe scegliere, senza poter più cambiare funzione. Chi è contrario alla modifica replica che questa separazione isolerebbe il pubblico ministero, relegandolo in una cultura dell’indagine e dell’accusa e che per una riforma così complessa il referendum abrogativo non è il mezzo più adatto.
Un altro quesito si occupa della valutazione della professionalità dei magistrati. Ogni 4 anni i magistrati sono valutati dal Consiglio Superiore della Magistratura in base a pareri elaborati dal consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dai consigli giudiziari. Sono organi misti, formati da magistrati e da componenti cosiddetti laici cioè avvocati e professori universitari, che però sono esclusi dal giudizio. Chi sostiene il sì vorrebbe dare anche a questi ultimi potere di voto sull’operato dei magistrati, chi sostiene il no mette in evidenza il rischio di valutazioni preconcette od ostili.
Infine, le elezioni del Csm. La norma attuale prevede una raccolta di firme da parte del magistrato che voglia candidarsi. Il quesito la vuole abolire giudicandola strumento di pressione delle correnti interne alla magistratura, i contrari la vogliono mantenere. Su tutti e tre questi quesiti interviene la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm della ministra Cartabia, già approvata dalla Camera e ora all’esame del Senato.
Gian Piero Del Monte
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