REGGIO EMILIA – Per prima cosa lo incappucciano con una federa. Poi lo gettano per terra, sul pavimento. E scatta la violenza. Loro sono in 14, lui è da solo. Loro sono agenti di polizia penitenziaria, tutti uomini, e ricoprono diversi ruoli: qualcuno fa questo mestiere, una professione che dovrebbe essere a servizio dello Stato, da poco, altri sono in servizio da svariati anni. Lui ha 40 anni, è originario della Tunisia, ed è un detenuto: si trova nel carcere di Reggio da non molto, trasferito in via Settembrini da Bologna. I minuti possono sembrare ore, ed è così se si pensa a cosa è accaduto: gli agenti pestano il detenuto con calci e pugni. Lo tengono fermo a terra mani e piedi, gli camminano sopra con gli scarponi d’ordinanza. Poi lo sollevano a mezz’aria, lo denudano. Prima di condurlo in cella di isolamento, dove rimarrà per un’ora prima di venire soccorso, lo picchiano ancora. Accade il 3 aprile 2023 in un corridoio della Pulce, quando il 40enne esce dall’ufficio del direttore con il quale era stato a colloquio per motivi disciplinari. Ed è il 7 aprile quando l’uomo, tramite l’avvocato Luca Sebastiani, fa denuncia. Adesso si trova ovviamente in un altro carcere.
L’aggressione drammatica gli costa 20 giorni di prognosi: sono un medico e un altro detenuto ad accorgersi del sangue che esce dalla cella di isolamento, dove il 40enne aveva passato un’ora ad urlare, a chiedere aiuto e a ferirsi con pezzi di lavandino che era riuscito a scardinare nel tentativo di fare rumore e attirare l’attenzione. E intanto la procura di Reggio inizia ad indagare, servendosi del lavoro dello stesso nucleo investigativo della polizia penitenziaria che il procuratore capo Calogero Paci oggi ringrazia per la perizia e la trasparenza. Il gip Luca Ramponi ha disposto misure cautelari per 10 degli agenti ravvisando il pericolo di reiterazione del reato: otto sono stati sospesi per un anno, due per 10 mesi; cinque hanno anche l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Il sostituto procuratore Maria Rita Pantani aveva chiesto il carcere per alcuni di loro. Il giudice ha comunque confermato il quadro accusatorio parlando di “brutalità, ferocia, sproporzione e azione del tutto ingiustificata”. La principale ipotesi di reato per otto agenti è pesantissima: tortura. “Per configurare la tortura è sufficiente che ci sia anche solo un singolo episodio”, sottolinea il procuratore capo Gaetano Calogero Paci.
Inoltre, il gruppo è indagato per lesioni e per falso ideologico in atto pubblico: in tre diverse relazioni, gli agenti aveva spiegato di aver agito così perché il detenuto aveva opposto resistenza e aveva con sé delle lamette. Nulla di tutto questo, secondo la procura ma secondo soprattutto le immagini: sì, perché l’inquietante e gravissimo episodio è avvenuto sotto gli occhi elettronici interni. Inoltre sono state raccolte diverse testimonianze, sia di detenuti sia di operatori del carcere. “E’ una indagine che mira ad accertare singoli fatti, che non mette in discussione la fiducia che bisogna avere nei confronto della polizia penitenziaria che svolge un lavoro importantissimo”, chiosa Paci.

L’episodio era stato citato anche dalla senatrice Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto proprio per le conseguenze di un pestaggio, nella sua visita di aprile al carcere di Reggio. “Ho potuto constatare con i miei occhi le drammatiche condizioni in cui vivono i reclusi in quel carcere – dice oggi la senatrice dell’Alleanza Verdi e Sinistra – Ringrazio la procura per il prezioso lavoro. Se mai ce ne fosse bisogno, questa è l’ennesima dimostrazione dell’importanza di aver approvato una legge che punisse la tortura nel 2017. Le carceri – aggiunge – dovrebbero essere luoghi rieducativi, ma purtroppo sono vere e proprie bombe ad orologeria pronte ad esplodere. E quello di Reggio Emilia, purtroppo, non è un caso isolato“.
Reggio Emilia lesioni carcere polizia penitenziaria torturaTorture in carcere, l’avvocato del detenuto: “La giustizia esiste per tutti”. VIDEO












