REGGIO EMILIA – Non soltanto un rapporto casuale di parentela con un boss della ‘ndrangheta, Antonio Dragone, ucciso nel 2004. La figlia di Dragone è diventata moglie, ora separata, di Raffaele Todaro e madre dell’architetto Giuseppe. Ma per gli inquirenti, che li accusano di vari maneggi per trarre profitti illeciti dalle pratiche di ricostruzione post terremoto, Raffaele e Giuseppe Todaro non sono solo accidentalmente genero e nipote di un capo-clan sconfitto e assassinato dalla cosca rivale dei Grande Aracri, ma sono legati a un’organizzazione di stampo mafioso ancora attiva.
E’ un convincimento che nasce da una serie di constatazioni. Raffaele Todaro è l’uomo che andava a trovare Antonio Dragone quando era in carcere a Sollicciano di Firenze e che, secondo una registrazione agli atti del processo “scacco matto”, faceva da portavoce del boss nelle iniziative per contrastare l’ascesa dei Grande Aracri. Venendo a tempi più recenti, da testimonianze al processo Aemilia e al processo Pesci alla Corte d’appello di Brescia, è emerso che fra le due cosche si sono riequilibrati i rapporti proprio grazie agli arresti che hanno colpito il clan Grande Aracri. Si sarebbe perfino ripreso a fare affari in comune.
L’architetto Giuseppe Todaro in varie intercettazioni vantava le proprie parentele mafiose per intimorire i tecnici del Mantovano con cui aveva rapporti nell’istruzione delle pratiche di finanziamento per il recupero degli immobili danneggiati dal sisma. “A Cutro – diceva in un colloquio telefonico – mi vedono come un eroe per la storia di mio nonno”. I due indagati sono innocenti fino a prova contraria. Dall’inchiesta, però, sembrano emergere non solo episodi di corruzione, ma un quadro di permanenza di legami con organizzazioni criminali che sono fonte di forte inquietudine e che hanno fatto scattare l’aggravante delle finalità mafiose.
Reggio Emilia Raffaele Todaro Antonio Dragone Giuseppe Todaro clan Dragone clan Grande Aracri‘Ndrangheta, corruzione e post sisma: 9 arresti, base nella Bassa reggiana. VIDEO