REGGIO EMILIA – Anche se si parla sempre di dignità della persona nella sofferenza e anche nella morte e di diritto alla scelta, le espressioni utilizzate sono diverse perchè diversi sono gli strumenti. Da gennaio 2018 è entrata in vigore la possibilità del testamento biologico: è una norma che permette di stabilire volontariamente e in anticipo a quali esami, scelte terapeutiche o singoli trattamenti sanitari dare o non dare il proprio consenso, nel caso di una futura incapacità a decidere o a comunicare. Per farlo occorre depositare una Dat, Disposizione anticipata di trattamento, presso il proprio comune di residenza, ed eventualmente dare il proprio consenso perchè sia inserita in una banca dati nazionale.
In Comune a Reggio sono state ad ora depositate 1.224 Dat: di queste, 645 sono proprio testamenti biologici, mentre la restante parte, e quindi 579 dichiarazioni, riguardano il ‘fine vita’, che è il tema in questi giorni al centro del dibattito politico e che si traduce con ‘suicidio assistito’. La legge sul testamento biologico infatti prevede il rifiuto di alcuni trattamenti vitali, ma non che un malato chieda l’aiuto di qualcuno per porre fine alle proprie sofferenze senza che questo sia considerato reato. Da lì la sentenza della Corte Costituzionale che si è concentrata sulla vicenda di Dj Fabo e che sta per ora riempiendo il vuoto legislativo nazionale, una sentenza che la Regione Emilia-Romagna, prima in Italia, ha scelto di applicare. Altra cosa ancora, in Italia non legale, è l’eutanasia, quando cioè è un medico, anche se sempre su richiesta del paziente, a somministrare una sostanza letale.
E’ Ludovica De Panfilis, responsabile dell’Unità di Bioetica di Reggio, a presiedere il Corec, Comitato regionale per l’etica nella clinica, che nell’iter stabilito da viale Aldo Moro deve dare un parere obbligatorio ma non vincolante alla richiesta di suicidio assistito. Ad ora il Comitato non è ancora operativo.
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