REGGIO EMILIA – Farfalle, il testo di Emanuele Aldrovandi vincitore del Premio Hystrio 2015 e del Mario Fratti Award 2016, arriva al Teatro Cavallerizza nei giorni giovedì 21, venerdì 22, sabato 23 e domenica 24 aprile alle ore 20.30. A firmare la regia è lo stesso autore.
Protagoniste due sorelle, una bionda (Bruna Rossi) e una mora (Giorgia Senesi), e il gioco che le ha unite fin da quando, piccolissime, sono rimaste sole: a turno, chi ha in mano la collana a forma di farfalla può obbligare l’altra a fare qualsiasi cosa, pena la fine del gioco.
Durante lo spettacolo le due attrici giocano a interpretare i personaggi principali delle loro vite, in un susseguirsi di scene che raccontano con tragicomica ironia la crescita delle due sorelle e le loro scelte di vita, che le portano ad acquisire una sempre maggiore consapevolezza di sé e a diventare molto diverse dalle ragazzine che erano. Il loro percorso però è opposto, quasi complementare, e il cambiamento che vivono le porta prima ad allontanarsi e poi a scontrarsi violentemente.
«È difficile raccontare di cosa parla un testo – racconta Emanuele Aldrovandi – e forse è ancora più difficile sapere quali siano state le esigenze che ti hanno portato a scriverlo. Per Farfalle ne posso ipotizzare almeno tre. La prima, iniziale, era la volontà di mettermi alla prova cimentandomi con la scrittura di personaggi femminili complessi. I testi che avevo scritto fino a quel momento avevano sempre un protagonista maschile, o al massimo una coppia di protagonisti uomo-donna, perciò la sfida che avevo in testa da un po’ era quella di provare a raccontare in modo profondo e credibile “la storia di due possibili donne”. Così nel 2013, partendo come riferimento da alcune novelle di Pirandello, ho iniziato a scrivere di queste due sorelle, una bionda e una mora.
La seconda esigenza rispecchia una riflessione sul valore dell’esperienza. Il mondo è pieno di persone che dispensano consigli in base al loro vissuto personale e tutta la nostra cultura è fondata sull’idea che la conoscenza – scientifica, culturale, esperienziale e perfino emotiva – si possa diffondere o tramandare. Ma le esperienze che facciamo ci insegnano davvero qualcosa sulla vita, su noi stessi o sugli altri? E fino a che punto, quando cerchiamo di trasmettere alle persone che amiamo quello che pensiamo di aver imparato, facciamo loro del bene?
La terza esigenza è scenica: volevo costruire una dinamica che fosse “interna” alla vicenda, ma allo stesso tempo avesse il potere di “creare” le situazioni e i personaggi. Per questo le altre figure della storia, dal padre inaffidabile al medico opportunista, sono sempre in bilico fra l’avere una vita propria e l’essere proiezioni generate dal vortice del gioco in cui le due sorelle sono immerse.
Dal momento della scrittura sono passati sette anni, nel frattempo il testo ha vinto dei premi, è stato pubblicato e tradotto e ha avuto il suo debutto mondiale l’anno scorso a New York. In un certo senso è come se si fosse staccato da me e si fosse allontanato dalle motivazioni che mi avevano spinto a scriverlo, diventando qualcosa di autonomo. È così che mi ci sono approcciato, quando ho deciso di farne la regia: come se fosse il testo di qualcun altro.
Rileggendolo e analizzandolo come se non l’avessi scritto io, ho scoperto che si tratta di un testo che parla soprattutto d’amore: un amore conflittuale e competitivo, che però può andare oltre l’incomprensione e oltre i confini della vita. È stato questo il motivo per cui ho scelto di farlo interpretare a due attrici che, dal punto di vista anagrafico, avessero la stessa età che hanno le due protagoniste alla fine della storia. E non invece a due attrici che avessero la stessa età che hanno le due protagoniste all’inizio. Volevo concentrarmi sul raccontare due donne che hanno già vissuto, che hanno già provato a capire e a capirsi, che non ci sono riuscite eppure, in un qualche modo che trascende i confini dello spazio e del tempo, sono ancora unite”.