REGGIO EMILIA – Ha preso il via questa mattina a Bologna il processo sui mandanti della strage del 2 agosto 1980. Tra gli imputati il reggiano Paolo Bellini, ex primula nera di Avanguardia Nazionale, figura chiave in questa nuova pagina giudiziaria chiamata a fare luce su diverse zone grigie dietro l’attentato.
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“Mi sento come Sacco e Vanzetti”. Poche parole, dette in esclusiva alla nostra inviata. Uno dei casi divenuto per antonomasia simbolo di errore giudiziario, viene tirato in ballo da Paolo Bellini. I fari tornano ad accendersi sul 67enne ex estremista di destra, misteriosa figura dal lungo curriculum criminale, presente in tribunale a Bologna, nell’aula della Corte d’Assise, nel giorno della prima udienza del nuovo processo per la strage alla stazione. Secondo l’accusa sarebbe lui il quinto attentatore. “L’aviere che portava una bomba”, come emergerebbe da un’intercettazione agli atti. Parole pronunciate da Carlo Maggi, ex leader di Ordine Nuovo.
Il killer reggiano ha sempre negato la sua presenza nel luogo dell’eccidio. Oltre a lui, sono due gli altri imputati: l’ex carabiniere Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio, e Domenico Catracchia, amministratore di un condominio di via Gradoli a Roma, con appartamenti in uso ai terroristi dei Nar. Un nuovo, complesso, capitolo giudiziario, fortemente voluto dai famigliari delle vittime.
“Cercheremo di sfruttare al meglio ogni udienza per portare elementi di prova alla Corte”, dice l’avvocato Andrea Speranzoni.
Sullo sfondo c’è il flusso di denaro che ha finanziato la strage. Soldi, secondo l’indagine, manovrati da Licio Gelli, gran maestro della Loggia P2, e dal suo braccio destro Umberto Ortolani, con l’ex capo dell’ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato. Questi i nomi dei presunti mandanti, ai quali si aggiunge Mario Tedeschi, direttore del “Borghese”. Tutti defunti ma inclusi nell’ampio perimetro del processo chiamato a svelare una volta per tutte complicità più o meno insospettabili.
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