REGGIO EMILIA – Torniamo a parlare della storica sentenza di primo grado arrivata ieri a Bologna nel processo sulla strage del 2 agosto alla stazione. Gli elementi inediti raccolti dalla procura generale hanno retto alla prova dell’aula, dice il giornalista Giovanni Vignali, autore di due libri sulla figura di Paolo Bellini, principale imputato condannato all’ergastolo.
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“L’Italia è un paese che trova giustizia quando ormai molti dei protagonisti non ci sono più. Non è un caso unico nella storia: sappiamo cos’è stata la Grecia dei colonnelli, sappiamo cos’è stata la Spagna di Franco o il Portogallo di Salazar”.
La sentenza ha elencato, da una parte, i mandanti: Federico Umberto d’Amato, agente segreto a capo dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’interno, Mario Tedeschi parlamentare dell’Msi e Licio Gelli, capo della loggia P2. Tutti deceduti. Sul banco degli imputati l’ex primula nera Paolo Bellini, ritenuto quinto autore della strage. Una figura criminale poliedrica la sua, con un passato da collaboratore dello Stato nella stagione della trattativa, e da pentito che in qualità di collaboratore non avrebbe però detto tutto.
“La sua difesa non ha prodotto grandi elementi. Si sa che aveva conti esteri in Svizzera. Non è che Bellini abbia dimostrato che quei conti erano vuoti”.
I soldi sono stati uno dei fili conduttori che ha portato alla condanna all’ergastolo il killer reggiano. La sigla di cui faceva parte, Avanguardia Nazionale, coralmente ha agito con quelle della galassia del terrorismo nero italiano: “Dobbiamo smettere di pensare alle sigle dell’estremismo di destra come compartimenti stagni. Dalle carte della Procura generale si vede chiaramente come molti estremisti parlassero tra di loro e molti fossero in contatto con un uomo misterioso della storia d’Italia, Federico Umberto D’Amato”.
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