BOLOGNA – “Tutti i processi per strage sono stati afflitti dal virus del depistaggio, per questo l’accertamento della verità è stato sempre molto difficile”.
E’ cominciata così la requisitoria del procuratore generale Umberto Palma, davanti alla corte d’Assise del tribunale di Bologna, nel processo ai mandanti della strage alla stazione. Non era in aula il principale imputato, il reggiano Paolo Bellini, che finora ha partecipato a tutte le udienze. L’ex primula nera, 68 anni, è ritenuto uno degli esecutori materiali dell’attentato, il “quinto uomo” che partecipò al posizionamento della bomba che alle 10.25 del 2 agosto 1980 esplose nella sala d’aspetto di seconda classe, in concorso con gli allora appartenenti agli ambienti di estrema destra Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (condannati in via definitiva) e con Gilberto Cavallini (condannato in primo grado). Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto d’Amato e Mario Tedeschi, tutti deceduti, sono ritenuti mandanti, finanziatori o organizzatori.
Nella requisitoria, che porterà l’accusa a formulare alla corte le richieste di condanna, la procura ha ricostruito il contesto nel quale la strage è maturata, soffermandosi sul ruolo di Gelli, capo della P2, e sul flusso di denaro usato per finanziare l’operazione. Ha parlato di intenso rapporto di collaborazione tra esponenti della destra eversiva e i servizi di intelligence.
Il punto di partenza sono state le condanne definitive di Mambro, Fioravanti e Ciavardini. Bellini, che si è sempre detto innocente, sarebbe “l’aviere che ha portato la bomba”, come emergerebbe da una intercettazione agli atti. Contro di lui il fotogramma di un filmato amatoriale che ritrae un uomo sul primo binario della stazione bolognese la mattina della strage: l’ex moglie ha riconosciuto il marito davanti alla corte.
Ed è sempre stata l’ex moglie Maurizia Bonini a smontare l’alibi del marito. Quel giorno a Bologna rimasero ferite più di 200 persone. I morti furono 85.
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