BOLOGNA – La strage di Bologna non c’entra con lo “spontaneismo armato” da parte di gruppi neofascisti. E’ una delle considerazioni contenute nelle motivazioni della sentenza che ha confermato l’ergastolo a Paolo Bellini per la strage del 2 agosto 1980.
Ne abbiamo parlato col giornalista e scrittore Giuseppe Vignali. “Uno dei temi che su Bologna si è dibattuto a lungo era se i terroristi che avevano colpito la stazione fossero da considerarsi o meno spontaneisti, cioè personaggi che agivano singolarmente o per motivazioni di piccoli gruppi – spiega Vignali – Questo processo dice che di spontaneismo non c’era nulla. C’erano varie sigle del terrorismo nero che nell’occasione si sono saldate a pezzi di Stato deviati e alla massoneria più pericolosa di quegli anni e hanno impresso una svolta alla storia democratica del nostro paese”.
I mandanti da una parte, in primis il capo della loggia P2, e gli esecutori dall’altra, con Paolo Bellini, militante di Avanguardia Nazionale, quinto attentatore della stazione. “Senza alcun dubbio”, dicono i giudici nelle motivazioni della sentenza di secondo grado parlando di una strage politica e confermando il profilo di un criminale che più volte riaffiora nel corso di un trentennio di storia italiana. Tra i suoi ruoli quello di infiltrato nella mafia per conto di apparati istituzionali.
“A Firenze e a Caltanisetta – continua Vignali – è in discussione la riapertura dei processi per le stragi di mafia del ’93, l’attentato al patrimonio artistico del Paese. Anche in quel caso abbiamo un protagonismo di Bellini“. Nel 1991 il killer reggiano, a Enna, riallaccia il rapporto con Nino Gioé conosciuto dieci anni prima in carcere: “Tutti dicono che fosse l’uomo dentro la mafia che aveva rapporti con i servizi segreti – spiega ancora Vignali – credo che nella vicenda siciliana esista il rischio di vedere ancora una volta in aula Bellini molto presente, con un ruolo non meno ambiguo e non meno preoccupante”.
Giovanni Vignali ha scritto due libri sull’ex primula nera, una figura che a suo avviso a Reggio è stata e continua ad essere sottovalutata. “Sembra quasi che non sia nato e non sia cresciuto a Reggio Emilia e non abbia coltivato relazioni in città – conclude Vignali – quando invece tutto questo è accaduto. Ad esempio questo processo di Bologna ci ha detto che anche Sergio Picciafuoco venne all’Hotel che allora si chiamava Astoria per procurarsi delle armi“.
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