BOLOGNA – “Più che indizi, ci sono macigni probatori nei confronti di Bellini. Siamo in presenza di un alibi precostituito e quando l’alibi precostituito diventa una prova a carico”.
Nella sua requisitoria, il procuratore generale Nicola Proto ha continuato a elencare tutti gli elementi che lo hanno portato a ritenere che il reggiano Paolo Bellini sia colpevole, uno degli esecutori della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna. L’ex primula nera, ex estremista di Avanguardia Nazionale, è il principale imputato nel processo ai mandanti che si sta celebrando davanti alla corte di Assise del tribunale bolognese. Il quinto uomo del commando che avrebbe posizionato la bomba nella sala d’aspetto di seconda classe.
L’alibi di cui parla la procura è quello che la ex moglie di Bellini ha smontato. Maurizia Bonini ha raccontato in aula che quel giorno l’ex marito era sì arrivato a Rimini per portare la famiglia al passo del Tonale, ma a un orario compatibile con la sua presenza in stazione all’ora in cui l’ordigno è esploso. Bellini aveva con se la nipote Daniela, che aveva 9 anni. Il pubblico ministero ha presentato le ipotesi su dove abbia lasciato la bambina. “Una operazione diabolica, se si pensa che è stata utilizzata una minore per far reggere l’alibi – ha detto – Bellini aveva dato appuntamento alla famiglia al Delfinario e non all’albergo, per eliminare i potenziali testimoni”.
Proto ha poi fatto riferimento ai rapporti della primula nera con i servizi segreti, citando il delitto di Alceste Campanile, avvenuto nel 1975 e confessato da Bellini nel 1999. “Un omicidio politico – ha detto la procura – commesso da Bellini per conto di Avanguardia Nazionale”. L’immediato depistaggio da parte del Sid (poi diventato Sismi) indirizzò le indagini verso una inesistente pista rossa: per l’accusa, una ulteriore prova del fatto che il terrorista abbia sempre goduto di coperture da parte dei servizi.
Bologna Paolo Bellini processo strage 2 agosto