REGGIO EMILIA – Il 24 ottobre scorso è scomparso Germano Nicolini, comandante partigiano e primo sindaco di Correggio dopo la Liberazione. Condannato ingiustamente nel 1949 per l’omicidio di don Umberto Pessina, Nicolini ha dovuto lottare per quasi mezzo secolo per ottenere giustizia. A Decoder lo storico Massimo Storchi ha ripercorso la sua vicenda giudiziaria.
“Non furono fatte vere indagini – ha detto – avevano un colpevole e hanno costruito un percorso per arrivare a questo colpevole”. Lo storico reggiano ha così riassunto la vicenda giudiziaria che portò alla condanna ingiusta, nel 1949, di Nicolini per l’omicidio di don Umberto Pessina, parroco di San Martino Piccolo a Correggio, avvenuto il 18 giugno 1946. Una vicenda che Storchi definisce “incredibile. Le prove furono inventate, il tribunale aveva già deciso la sentenza. Non dimentichiamo che la magistratura era la stessa uscita dal fascismo, non c’era stata nessuna epurazione”.
L’ex sindaco di Correggio, già comandante partigiano con il nome di “Diavolo”, ebbe due grandi accusatori: l’allora capitano dei carabinieri Pasquale Vesce e il vescovo Beniamino Socche: “Allora – ha aggiunto Storchi – c’era una guerra contro il comunismo”. Nemmeno il Pci di allora aiutò Nicolini, anzi fece espatriare due dei veri colpevoli che si erano auto accusati: gli ex partigiani Cesarino Catellani ed Ero Righi.
Portarono alla revisione del processo e alla fine all’assoluzione nel 1994, dopo quasi mezzo secolo, diversi fattori secondo Storchi: il clima che si era creato dopo il “chi sa parli” di Otello Montanari, in cui l’ex deputato invitava a far luce sui delitti compiuti nel dopoguerra; la confessione del vero esecutore materiale, William Gaiti, spinta anche dall’amicizia che legava il figlio di Nicolini a quello di Gaiti; ancora, una sorta di “auto confessione” del generale Vesce nel 1987: “Disse di aver nascosto prove e di averlo incastrato”, ha concluso Storchi.
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