REGGIO EMILIA – Gli stipendi dei manager delle società quotate in Borsa sono diventati negli anni sempre più articolati. Alla componente fissa, si sono via via aggiunti benefici non monetari, come auto, appartamenti e telefoni cellulari, e soprattutto componenti variabili, sia monetarie che in strumenti finanziari, come le stock option e le stock grant.
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Le stock option attribuiscono agli amministratori la facoltà di sottoscrivere azioni della società a un prezzo predeterminato; le stock grant sono invece piani di incentivazione che prevedono l’assegnazione ai manager di azioni dell’azienda al raggiungimento di determinati obiettivi. Ci sono aziende reggiane quotate, come Iren, Newlat ed Emak, che non utilizzano questi strumenti. Ma nei casi in cui è stata fatta la scelta di avvalersene, le cifre che girano sono importanti. Tra le imprese manifatturiere di casa nostra, il caso più rilevante è quello del gruppo Interpump. Con i piani triennali di incentivazione varati nel 2013 e nel 2016, Interpump ha assegnato 2,5 milioni di opzioni a 24 manager del gruppo e ad altre figure direttive. Il controvalore delle opzioni sfiora i 30 milioni di euro.
Naturalmente, l’entità dei bonus non è uguale per tutti. Nel caso di Interpump, la parte del leone la fa Fulvio Montipò, presidente e amministratore delegato. A Montipò sono state attribuite 1,62 milioni di opzioni nel 2016 a 12,88 euro e 1,8 milioni nel 2019 a 28,49 euro. Per sottoscrivere le opzioni, Montipò dovrebbe spendere 72 milioni di euro, ma si troverebbe fra le mani un pacchetto azionario che attualmente vale più di 126 milioni, con una plusvalenza di oltre 54 milioni.
Il meccanismo delle stock option può dunque determinare profitti enormi, ma con un’incognita: se le quotazioni scendono sotto il prezzo d’esercizio, la plusvalenza svanisce. Non è così per le stock grant. Ne parleremo in un prossimo servizio, con riferimento ad altre due aziende reggiane.











