REGGIO EMILIA – Circa 19 milioni di debiti e un disavanzo 2021 di 4 milioni e 300mila euro: i numeri della crisi Silk Faw (ora Silk Sports Car) sono lontani da quelli dei grandi dissesti aziendali che Reggio ha vissuto in anni recenti. D’altra parte, quella presieduta dal finanziere statunitense Jonathan Krane è una start-up, come si dice oggi, cioè una società in fase d’avvio. L’istanza di applicazione di misure protettive del patrimonio depositata il 6 marzo scorso in Tribunale segna la fine del progetto di costruire a Reggio auto di lusso elettriche e ibride. La crisi finanziaria è conclamata da tempo, contrappuntata da una raffica di decreti ingiuntivi emessi dai Tribunali su richiesta di fornitori e dipendenti.
Non che Krane e i suoi collaboratori non ci abbiano provato. La società ha realizzato investimenti per 28 milioni di euro e nel 2021 ha sostenuto costi per 7 milioni, soprattutto per il personale. Ha acquistato una porzione del terreno su cui intendeva costruire lo stabilimento, pagando 1 milione e 430mila euro. Ha versato acconti per altri terreni per 3,6 milioni e ha pagato 173mila euro per permessi di costruzione.
Ma il contesto geopolitico, si legge nel verbale dell’assemblea dei soci del 16 dicembre scorso, ha minato il progetto: basti dire che la vendita in Cina delle auto di lusso prodotte in Occidente è bloccata dai dazi imposti da Pechino. E così gli investitori occidentali non hanno finanziato l’impresa, mentre la società mista con il colosso cinese Faw non è mai nata.
La casa madre Silk Sports Car Company Holdings Ireland Limited, la finanziaria irlandese di Krane, ha versato prima quasi 27 milioni di euro di capitale sociale e poi, l’anno scorso, altri 9,5 milioni a titolo di futuro aumento di capitale. Ma non basta. Restano così sul tappeto 19 milioni di debiti, di cui 16,6 verso i fornitori. Nessun debito verso le banche, invece, che forse non sono state coinvolte o non hanno creduto nel progetto.
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