REGGIO EMILIA – Nell’immediato dopoguerra decine di migliaia di bambini in miseria nelle città bombardate vennero ospitati da famiglie dell’Emilia Romagna, famiglie povere ma aperte alla solidarietà. Un sindaco battezzò “treni della felicità” i convogli che li portavano nella nostra regione. Il primo treno speciale con meta Reggio Emilia, carico di 1.800 bambini e bambine, partì il 16 dicembre 1945 da Milano, una città distrutta dai bombardamenti e affamata.
Quei piccoli, incuriositi, ma anche intimoriti da quella prima esperienza di viaggio, erano attesi da famiglie reggiane pronte ad accoglierli in quel rigido inverno. “La famiglia dei miei genitori e dei miei zii, una famiglia di mezzadri, che abitava a Cognento, una frazione di Campagnola, nel dopoguerra, come tante famiglie di questa zona, ospitò dei ragazzini che provenivano da Milano e da Napoli. Ragazzi di famiglie molto povere che non avevano nulla”, racconta Paola Baraldi, Insegnante ed ex sindaco di Campagnola.
Pci e Udi (Unione donne italiane) erano gli animatori di quella campagna di solidarietà, che si estese anche ad ambienti cattolici. Più di 70mila bambini di Milano, Torino, Roma, Napoli e vaste zone del Sud vennero ospitati in Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Veneto fra il 1945 e il 1952. “Dove si mangia in sette si mangia anche in otto” divenne il detto di quelle famiglie contadine.
“Un ragazzo di Napoli, Giuseppe, rimase in contatto con noi per tanti anni, fino purtroppo al suo decesso”, ricorda Baraldi. I treni erano salutati, alla partenza e all’arrivo, da ferrovieri, sindaci e bande musicali, come mostra un bel documentario del regista Alessandro Piva. E alla fine riportarono a casa quei ragazzi con un patrimonio di sentimenti che hanno resistito nel tempo. “Ebbi modo di conoscerlo – prosegue la testimonianza -, già signore di una certa età, ci invitò a casa sua e andai anch’io a trovarlo. E questo per dire che la solidarietà è stata uno degli elementi che hanno caratterizzato le nostre famiglie e che la solidarietà poi ha portato all’instaurarsi di rapporti di grande affetto e di grande amicizia”.
Gian Piero Del Monte
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