REGGIO EMILIA – E così i cervelli se ne fanno all’estero o fanno un passo indietro per sopravvivere. Un danno enorme per il Paese che ha speso risorse pubbliche per formarli e non potrà beneficiare dei risultati delle loro ricerche in ambiti fondamentali come economia, cultura, tecnologia e medicina, ma l’elenco abbraccia tutto lo scibile umano
I numeri sono impietosi i ricercatori precari sono 30mila in Italia, 223 a Unimore il 22% del personale strutturato nell’ateneo reggiano, il 76% del totale dei ricercatori. Il conteggio a Unimore sale a 765 precari, tra assegnisti di ricerca, docenti a contratto e, appunto, ricercatori a tempo determinato su 1519 totali, più del 50% del totale. Persone, non più giovanissime l’età media è di 37 anni, che faticano a costruirsi una vita stabile, ma soprattutto vedono il loro futuro sempre a rischio.
Per questo i ricercatori precari, dopo il taglio del Fondo di Finanziamento Ordinario per la ricerca da parte del Governo, hanno proclamato lo stato di mobilitazione permanente in numerosi Atenei italiani, compreso Unimore.
‘Nella situazione attuale l’80-90% lascerà l’università – denunciano – l’emorragia è di 3-400 dimissionari al mese’. Chiedono risorse ingenti e urgenti che il Governo non sta mettendo a disposizione, ma soprattutto trovano assurdo che i fondi del Pnrr siano stati utilizzati per assumere personale precario, essenziale per garantire la didattica nelle università italiane, ma non possano essere utilizzati per la loro stabilizzazione.
Reggio Emilia Unimore