REGGIO EMILIA – Sei ospedali, 15 Case della comunità cui se ne aggiungeranno altre 10 grazie ai fondi del Pnrr, 3 Cau, 3 Osco e 5 Cot, le centrali operative territoriali pensate per coordinare la gestione dei pazienti tra servizi e professionisti al fine di integrare assistenza sanitaria e sociosanitaria. La sanità reggiana è tra le più avanti sul fronte della medicina territoriale, quell’idea nata prima del Covid che voleva avvicinare i servizi ai cittadini, consentendo loro di curarsi fuori dagli ospedali. La pandemia, però, ci ha messo lo zampino, ritardando l’entrata a regime di un sistema che ora è già in discussione. Ci sono nuove emergenze da affrontare a cominciare dalla carenza di medici e infermieri, mentre le lunghe liste d’attesa restano un rebus irrisolvibile. Così la Conferenza sociosanitaria ha avviato una profonda riflessione, come chiesto anche dalla nuova giunta regionale, sui Cau. I tre in funzione nel reggiano hanno ridotto gli accessi al pronto soccorso tra l’8 e il 12%, performance molto diverse che inducono a ipotizzare dei correttivi in corsa.
“Non tutti i Cau sono uguali. Quello del capoluogo è lontano dal pronto soccorso, a Correggio è dentro alla struttura, a Scandiano vicino all’ospedale. Stiamo facendo una analisi con l’Ausl per capire se ci sono migliorie da fare”, dice il presidente della Provincia Giorgio Zanni.
Correzioni di rotta che dovranno essere discussi con il nuovo direttore generale dell’Ausl, sul cui nome tra gli stessi primi cittadini è aperto un serrato confronto. In attesa della nomina della Regione, però, l’idea è che il nuovo corso della medicina di prossimità debba essere condiviso tra politica e azienda sanitaria. “Ringrazio a nome di tutti i sindaci la direttrice sanitaria Cristina Marchesi per il suo lavoro. Ovvio che ora la svolta deve essere accompagnato da nuovi attori”.
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