REGGIO EMILIA – Puntare sul talento miscelato allo sforzo. Saper capire chi si ha davanti, fisicamente e psicologicamente, per decidere su cosa concentrarsi. E’ il mestiere dell’allenatore, e Alessandro “Sandro” Donati lo conosce molto bene. E’ stato commissario tecnico della nazionale di atletica leggera per dieci anni, dal ’77 all’87. Non anni qualunque: gli anni di Stefano Mei, Donato Sabia, Alberto Cova. Gli anni di Pietro Mennea. Ma da fine anni ’80 in poi, per tutti Sandro Donati è diventato “l’uomo che combatte il doping”.
Sono in tantissimi a dire che se oggi in Italia esiste una cultura antidoping lo si deve proprio a lui, che ha dialogato con Marco Pastonesi in uno dei tanti eventi dedicati all’arrivo del Giro d’Italia in città, un cartellone che sta portando grandi personalità dello sport. “Si vede guardando gli atleti che non hanno diminuito le prestazioni – le parole di Donati – Ci sono solo farmaci più sofisticati e c’è una gestione politica opaca, soprattutto a livello internazionale: non sappiamo quanti controlli vengano fatti e in quali sport”.
Donati ha denunciato scandali nel ciclismo, nel calcio, nell’atletica. E’ stato membro della commissione scientifica antidoping del Comitato olimpico nazionale italiano, ha scritto sul tema diversi libri, e in uno di questi, racconta la vicenda di Alex Schwazer sostenendo che “hanno voluto distruggerlo”. Alla domanda se vede come un bel segno che ci siano atleti sempre più anziani, Donati risponde: “Parliamo di casi eccezionali e di un livello alto che porta queste persone ad avere buoni contratti, anche in fase calante; a livelli minori invece sarebbe un’ossessione, a un certo punto bisogna saper dire basta”.
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