REGGIO EMILIA – Non ci sono le scarpe, nè lo zaino. C’è però una catenina allacciata alla caviglia sinistra; ci sono gli abiti, rimasti indosso. Non sono solo dettagli, sono quegli elementi che contribuiscono a dare un nome e un cognome al corpo ritrovato all’interno del rudere di viazza Reatino prima che lo faccia, ufficialmente, la scienza.
“Il corpo è integro – ha confermato il procuratore capo Calogero Gaetano Paci – certo è che il contesto in cui il corpo è stato ritrovato e anche qualche elemento peculiare già consentono di formulare una probabilità di identificazione, ma la prova regina è quella del Dna”. “E’ possibile corroborare già la vostra ipotesi di strangolamento?”, “no, occorre l’esame dei traumi interni”.
Quel corpo cercato per un anno e mezzo e ritrovato il 18 novembre se ne va nove giorni dopo, nella notte. E’ nella notte che arriva il mezzo attrezzato della Croce Verde, che dal rudere viene fatta uscire una piccola barella, che parte il viaggio verso Milano, verso il laboratorio Labanof dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo. Il lavoro è stato celere ma a dir poco minuzioso, supportato dall’azione dei vigili del fuoco che hanno messo in sicurezza il rudere consentendo alla squadra dell’archeologo forense di avvicinarsi il più possibile.
E’ finita la prima fase, ne inizia un’altra non meno importante. C’è una calma quasi surreale, nelle campagne di Novellara, rispetto all’indirivieni dei giorni scorsi, ma l’area è ancora sotto sequestro. Il lavoro di analisi prosegue infatti, perché parlerà il corpo ma potrebbe parlare anche il terreno, soprattutto in relazione all’inchiesta bis aperta dalla procura sulla vicenda. “Occorrerà capire se tra chi ha fatto i lavori di interramento ci siano soggetti diversi dagli attuali imputati”, ha chiarito Paci.
Alle operazioni di recupero dei resti hanno preso parte anche ai vigili del fuoco, che hanno consentito ai periti di lavorare in sicurezza.
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