REGGIO EMILIA – L’omicidio di Saman Abbas non è stato premeditato. E’ stato un delitto d’impeto che si è consumato nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021. Genitori e zio i responsabili, mentre i due cugini non hanno partecipato nè all’omicidio, nè all’occultamento del cadavere di Saman. E’ quello che emerge dal dispositivo della sentenza di primo grado della Corte d’Assise del tribunale di Reggio, che in parte sembra aver smontato la ricostruzione della pubblica accusa.
Il procuratore capo di Reggio Calogero Paci e la sostituta Laura Galli avevano chiesto per i due cugini 26 anni di carcere: Nomanulhaq Nomanulhaq e Ikram Ijaz sono invece stati assolti con formula piena, per non aver commesso il fatto; tornati in libertà, si sono trasferiti a casa di conoscenti a Reggio. Secondo la Corte, non hanno partecipato al delitto e non hanno neppure scavato la buca in cui il cadavere della ragazza è stato ritrovato.
La posizione che più ha fatto discutere è quella dello zio. Per lui l’accusa aveva chiesto 26 anni. Condannato per omicidio e occultamento di cadavere, Danish Hasnain se l’è cavata con 14 anni. Perchè? Perchè ha beneficiato dello sconto di pena per aver scelto il rito abbrevviato e perchè sono cadute, per lui come per i genitori di Saman, le aggravanti della premeditazione e dei futili motivi. Per Shabbar Abbas e Nazia Seheen, latitante in Pakistan, il verdetto della Corte è stato ergastolo.
Occorrerà leggere le motivazioni per avere il quadro più dettagliato ricostruito dalla Corte. Capire ad esempio il peso che hanno avuto le dichiarazioni del fratello di Saman, il grande accusatore dei cinque imputati, a cui tuttavia è stato negato ogni risarcimento. “La responsabilità genitoriale emerge pienamente, questo è un fatto importante perchè è una delle dinamiche costanti dei matrimoni forzati – ha commentato il sindaco di Novellara Elena Carletti – Sul coinvolgimento del resto della famiglia attendiamo le evoluzioni future”.
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