REGGIO EMILIA – “In quel casolare era stato ripristinato a opera d’arte lo stato dei luoghi, non ci saremmo mai accorti del punto dello scavo, perché l’area era totalmente omogenea. Anche dal drone non si notava nulla e la vegetazione era cresciuta sopra. Poi, è arrivata l’indicazione dello zio Danish Hasnain“. Il maresciallo dei carabinieri di Reggio Emilia, Cristian Gandolfi, ha ripercorso in aula le fasi di indagine e di ricerca del corpo di Saman Abbas, ritrovato nel novembre 2002 in un casolare abbandonato a Novellara che dista 500 metri dall’abitazione dove la 18enne pakistana ha vissuto con la famiglia. Il ritrovamento è avvenuto un anno e mezzo dopo la sua scomparsa.
Davanti alla Corte d’Assise di Reggio Emilia si è celebrata un’altra udienza del processo che vede alla sbarra i genitori, lo zio e due cugini, accusati di aver ucciso e fatto poi sparire il corpo della ragazza. Oggi, per la seconda volta, era collegato dal Pakistan anche il padre Shabbar Abbas, che ha ribadito tramite i suoi legali di non voler essere ripreso da fotografi o telecamere, così come il rappresentante dell’Arma.
Il maresciallo Gandolfi, nella sua lunga deposizione, ha poi ricostruito come tramite i tabulati telefonici e le intercettazioni dei profili dei social network, e grazie alla collaborazione dell’Interpol, siano riusciti poi a catturare i due cugini e lo zio (fuggiti dopo il delitto tra Francia e Spagna) e il padre in Pakistan. La madre Nazia, invece, è ancora latitante nel Paese asiatico.
Servizio Tg di Margherita Grassi
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