REGGIO EMILIA – Saman Abbas sarebbe morta per asfissia. Sono quindi due i macro elementi emersi dall’autopsia, durata sette ore e terminata alle 22 di ieri sera al laboratorio Labanof di Milano: la probabile causa del decesso e il fatto che quei resti, quel corpo trovato il 18 novembre in viazza Reatino a Novellara all’interno di un rudere abbandonato, siano quelli della 18enne scomparsa il 30 aprile 2021 e che gli inquirenti cercavano da un anno e mezzo.
Manca, è vero, ancora la comparazione col Dna, e quella sarà la parola definitiva, ma i capelli, i vestiti – quelli che la ragazza indossava quella sera, come risulta dalle immagini delle telecamere – la cavigliera, un braccialetto portafortuna, i jeans che lei stessa aveva strappato ad arte con una lametta all’altezza del ginocchio, gli orecchini: tutti elementi emersi durante l’esame, che in gergo vengono definiti “altamente individualizzanti” e che in pratica fanno dire che è lei.
Il corpo, come era già emerso, era integro ma saponificato. Rispetto alla causa della morte, saranno gli esami istologici sui tessuti a dire le modalità dell’uccisione: non ci sono però tracce di sangue, nessun taglio, ma una lesione interna che è da verificare, anche per capire se sia pre o post mortem. Uno dei due cugini della ragazza, tra i cinque imputati per il suo omicidio, aveva raccontato “la tenevamo ferma mentre Danish la strangolava con una corda”.
Ovviamente anche i successivi esami – l’anatomopatologa Cristina Cattaneo ha tempo 60 giorni per depositare una relazione completa – si svolgeranno alla presenza delle parti e dei consulenti da loro nominati. La procura, guidata da Calogero Paci, continua a indagare anche sul filone complici: persone vicine alla cerchia famigliare che potrebbero aver aiutato gli imputati ad occultare il corpo.