NOVELLARA (Reggio Emilia) – Lavorano silenziosi posizionati su un’ampia superficie della discarica gestita da Sabar in via Levata, nelle campagne di Novellara.
Diecimila pannelli solari installati ormai dieci anni fa. Ma a far rumore è la tassa sugli extra profitti stabilita dal governo, riguardante ogni impianto fotovoltaico sopra i 20 chilowatt di potenza.
La sberla per Sabar, società interamente pubblica che non ha come attività principale la produzione di energia, si aggira sui 750mila euro. Questa la cifra che deve essere restituita per il periodo dal primo febbraio scorso alla fine dell’anno. Il valore è frutto di una stima.
Reale è però il conguaglio riferito ai primi cinque mesi, fino a giugno compreso: un salasso pari a 246mila per la multiservizi. Che, come è capitato a tutti i proprietari di impianti, ha visto schizzare gli introiti della corrente immessa in rete.
Il picco lo scorso 26 agosto, quando Gse, il Gestore Servizi Elettrici è arrivata a pagarla 802 euro al megawattora. Quasi 14 volte tanto rispetto a quei 58 euro corrispondenti al tetto introdotto per mano del governo. Vuol dire che lo Stato arriverà a riprendersi fino al 92% degli importi.
D’altra parte stiamo parlando di parchi fotovoltaici realizzati dieci anni fa tramite il cosiddetto ‘Conto Energia’, ovvero sovvenzionati dal pubblico. Nel caso però di realtà altrettanto pubbliche, gli inattesi ricavi avrebbero fatto comodo per assorbire i costi sempre più alti delle bollette dei Comuni.
Un’obiezione che è stata fatta presente in questi giorni al premier Draghi per voce dell’Anci. Chi si è dato da fare, come Sabar, per contribuire a rendere il Paese indipendente dalle fonti fossili, si sente ora usato a mo’ di bancomat. Al contempo, come un bancomat e anche assai redditizio, stanno funzionando gli ultimi duemila pannelli installati sempre al di sopra dei rifiuti interrati.
In questo caso sono liberi da incentivi statali, dunque esenti dai ristorni. Allacciati lo scorso 8 agosto, nell’arco di venti giorni hanno fruttato 63mila euro, pari già a oltre il 5% del valore dell’opera, costata un milione e 200mila euro.
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