REGGIO EMILIA – Il giornalista reggiano Giovanni Vignali ha dedicato due libri alla storia dell’estremista di destra Paolo Bellini, ora imputato a Bologna nel processo sui mandanti della strage del 2 agosto 1980 alla stazione centrale. Proprio nell’ambito del processo, Vignali è stato ascoltato come testimone e il volume “L’uomo nero e le stragi” è stato acquisito agli atti del processo.
“La vicenda di Paolo Bellini è pienamente dentro la storia della destra reggiana. Bisogna capire fino a che punto lo sia nella destra parlamentare o extraparlamentare”, ha commentato Vignali. Il processo in corso ha fatto riemergere i rapporti tra il 68enne ora imputato e i militanti neofascisti reggiani nei primi anni ’70. “Ci sono documenti depositati presso la commissione nazionale anti mafia che dicono che Bellini era il punto di riferimento di Avanguardia Nazionale a Reggio Emilia, ha aggiunto Vignali.
Bellini ha dichiarato in aula di essere stato infiltrato negli ambienti dell’estrema destra per volere del senatore missino Franco Mariani ed è emerso il suo ruolo di reclutatore di eventuali teste calde. “Il compito di Bellini era quello di avvicinare all’interno del mondo della destra le figure un po’ più di contestazione”. La domanda che resta ancora senza risposta è a quali scopi reali scopi rispondesse l’attività di infiltrato di Bellini. Che cosa volesse da lui realmente il senatore Mariani e per conto di chi? Semplice monitoraggio o manipolazione?
Intanto, il confronto tra le interpretazioni del perito incaricato dalla Procura di Bologna e quella dei tecnici della Scientifica, che sempre per i pg hanno digitalizzato e ripulito una intercettazione ambientale del 18 gennaio 1996 di Carlo Maria Maggi, leader veneto di Ordine nuovo, sono stati al centro della 57ª udienza del processo. Nell’audio originale, come trascritto dal perito Michele Ferrazzano, Maggi parlando con la moglie e con il figlio Marco, attribuisce la strage a Francesca Mambro e Valerio Fioravanti e fa riferimento a “un aviere” che avrebbe portato la bomba. L’aviere in questione, secondo l’accusa, è Bellini che aveva un brevetto da pilota.
Secondo i tecnici della polizia scientifica, invece, la parola “aviere” sarebbe influenzata dai rumori di fondo del telegiornale che andava in onda durante l’intercettazione e l’audio, una volta digitalizzato e pulito, “parrebbe compatibile con la parola corriere”. Secondo la Procura, però, questa interpretazione, visto che i tecnici della Scientifica hanno ammesso di aver consultato anche fonti aperte (come articoli di giornale che parlavano del processo), è influenzata dalle ipotesi poi archiviate sulla pista palestinese, soprattutto quando fa riferimento allo scoppio per errore della bomba in stazione, trasportata proprio da un corriere.
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