TOANO (Reggio Emilia) – Gabriele Pagliarini vive a Toano, il padre era casaro a Cavola. Una passione, quella per i motori, che non accenna a diminuire. Era un ragazzino quando, nel 1978, ha cominciato a lavorare come meccanico del reparto corse della Ferrari. “La prima volta che ho visto Enzo Ferrari non è stato un incontro personale, è stato un incontro di squadra – ci racconta – Ero in pista a Fiorano, lui veniva quasi sempre quando si provavano le macchine per il gran premio e mi disse che avevo i capelli un pò troppo lunghi. In tante occasioni lui si faceva sentire, ma sentivi anche l’ombra: quando arrivava in reparto sentivi la sua presenza’.
Nel tempo Pagliarini è diventato capo macchina di Nigel Mansell, Alain Prost e Ivan Capelli, poi capo meccanico. 20 anni di gare sui circuiti di tutto il mondo: “Il mestiere di un meccanico è fare in modo che tutto quello che tocca lui sia ben fatto, che non possa succedere niente. Succedesse qualcosa, pochi sanno quello che passa per la testa di un meccanico: in un incidente grave che non sai che cosa è successo ti passano per la testa tutti i bulloni che hai toccato negli ultimi due giorni’. L’8 maggio 1982 è stato uno di quei giorni maledetti. La Ferrari di Gilles Villeneuve che esce di strada durante le qualifiche sul tracciato di Zolder: “Io ero in pista con lui e per me lui aveva sette vite, non esisteva che potesse capitare qualcosa del genere nella mia testa…E’ stato brutto, vedevo i meccanici più esperti di me che piangevano, fino a quando è arrivato l’ingegner Forghieri e ci ha detto: ragazzi, il commendatore ci ha detto di chiudere tutto e andare a casa, Gilles è clinicamente morto. E’ qualcosa di surreale, qualcosa che fa male ancora adesso a pensarci”, ricorda Pagliarini. “Poi, quando era in macchina e chiudeva la visiera, lui metteva giù tutto quello che c’era – dice ancora – Ci metteva tutto quello che aveva, sempre. Se saliva in macchina, col bagnato o con l’asciutto, se saliva metteva tutto, era emozione pura”.
Abbiamo incontrato Gabriele a Corlo di Formigine, alla Scuderia Bell’Epoque, dove un gruppo di tecnici cresciuti nelle aziende della motor valley ridà vita alle auto d’epoca, comprese le Formula 1. Ogni macchina ha la sua anima. Qual è quella che ha emozionato di più? “La 6.40 di Mansell e Berger, del 1990: 12 cilindri, macchina stupenda. Era fatta bene, era bella da toccare, era pulita, era veloce, era intuitiva. Tu capivi come era messa in qualsiasi momento. Rumore? Violino”.
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