REGGIO EMILIA – Sebbene gridata come non mai, spesso caratterizzata da temi, linguaggi e comportamenti estranei all’oggetto della contesa, la campagna elettorale per le Regionali di domenica ha comunque offerto un quadro sufficientemente chiaro delle opzioni che si confrontano.
Da una parte ci sono coloro che pensano che in Emilia Romagna molte cose si possano migliorare, ma che nel complesso in questi anni la regione sia stata bene amministrata. Persone che giudicano positivamente il livello raggiunto dal nostro territorio nel campo dei risultati economici e dell’occupazione, la diffusione dei servizi sociali e assistenziali, la vivacità delle istituzioni culturali, la qualità della vita delle nostre città e dei paesi. Che vedono in misure come l’abolizione del superticket e del ticket base di 23 euro per le prime visite per le famiglie con almeno due figli – che nel 2019 hanno fatto risparmiare ai cittadini 34 milioni di euro – una conferma della vocazione sociale
dell’Emilia Romagna.
Dall’altra parte ci sono coloro che sostengono che gli emiliano-romagnoli non sono liberi, che non riconoscono il valore dei risultati raggiunti negli anni e guardano ad altre esperienze come a modelli da importare. Sono persone che pensano che la specificità dell’Emilia Romagna, la sua esperienza storica, sia un’anomalia da cancellare. Per sostituirla con cosa? Con le politiche di regioni come il Veneto e la Lombardia che, dopo oltre 45 anni di amministrazione Dc, sono governate da più di un quarto di secolo dalla Lega e dal centrodestra.
In sintesi, da una parte c’è l’orgoglio di una identità e di una storia, dall’altra c’è la voglia di archiviare quella storia e di omologarla ad altre. Ora le carte sono sul tavolo, le opzioni sono chiare, le differenze visibili. Tocca ai cittadini scegliere.
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