REGGIO EMILIA – Quando 25mila reggiani sfilano per le vie della città, dando vita a una delle più grandi manifestazioni degli ultimi decenni, è necessario chiedersi perché. Quando tanti lavoratori decidono di aderire a uno sciopero rinunciando a una giornata di retribuzione, bisogna interrogarsi sulle loro scelte con rispetto.
Dietro la marea umana che ieri ha invaso pacificamente Reggio e tante città italiane c’è il sentimento di ripulsa e di orrore verso un massacro indiscriminato che continua ormai da due anni e che viola ogni norma del diritto internazionale. C’è la solidarietà verso un popolo che è costretto a una condizione di soggezione e di segregazione che è cominciata molto prima delle stragi del 7 ottobre 2023. Ci sono la ribellione e lo sdegno per una comunità internazionale che negli ultimi 30 anni ha più volte organizzato gigantesche operazioni militari per abbattere questo o quel regime, spesso con motivazioni pretestuose o false, ma in due anni non è stata in grado di allestire un’operazione umanitaria che costringesse Israele a cessare i bombardamenti e portasse aiuto alla popolazione di Gaza.
Di fronte a questo fiume di persone, anche i fatti di domenica scorsa al teatro Valli possono essere riconsiderati nella giusta dimensione. Francesca Albanese si è scusata, il sindaco Massari ha detto di capire chi ha dissentito da lui e di non nutrire desideri di rivalsa. Il messaggio essenziale della giornata di ieri e delle tante altre che l’hanno preceduta è che, come altre volte nella sua storia, come con il Viet Nam, con il Mozambico, con il Sudafrica, con i Sahrawi, Reggio è dalla parte dell’autodeterminazione dei popoli e della pace. E la storia ci dice che questo impegno non è affatto inutile.
L’Albanese si scusa con il sindaco Massari
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