REGGIO EMILIA – “Dal punto di vista numerico, se noi facciamo la conta dei morti, stupisce trovare province come Treviso, Savona o Cuneo che hanno più morti di Reggio”.
Tra il maggio del ’45 e la fine del ’46 le vittime di violenza politica e regolamenti di conti nella nostra provincia furono 200. A parte vistose eccezioni (come don Umberto Pessina e Umberto Farri, sindaco socialista di Casalgrande), si trattava di militi della Repubblica sociale italiana: erano i collaborazionisti dei 20 mesi dell’occupazione tedesca. Il “triangolo della morte” Reggio-Modena-Bologna è però solo una definizione a effetto: il tasso di violenza politica che si registrò in Emilia fu analogo a quello del bianco Veneto e inferiore a quello del Piemonte. “Il Dopoguerra reggiano non è così speciale, è stato reso speciale per l’uso che se ne è fatto dopo”.
L’aspetto più interessante del libro di Iara Meloni, “Nella provincia selvaggia”, è l’analisi del lavoro delle Corti d’assise straordinarie che furono istituite nel 1945 per giudicare i crimini fascisti. In provincia di Reggio finiscono sul banco degli imputati 323 persone. Chi sono? “Militi di Salò, che hanno compiuto rastrellamenti e violenze, torturatori di Villa Cucchi, delatori, giornalisti che hanno sostenuto l’occupazione tedesca”.
Le udienze sono seguite con grande partecipazione dalla città. In primo grado il 70% degli imputati viene condannato. Sono emesse 57 condanne a morte per fucilazione, solo 6 delle quali eseguite. Con i successivi gradi di giudizio, il mutare del clima politico e l’amnistia del giugno ’46, moltissimi imputati se la cavarono con brevi periodi di detenzione. Ma secondo Iara Meloni, il valore di quei processi resta intatto. “E’ come se in quegli anni si fossero celebrate delle lezioni di storia nelle aule dei tribunali e gli italiani avessero finalmente fatto i conti con il fascismo”.
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