REGGIO EMILIA – “Visto l’aumento notevole dei casi Covid in provincia, la nostra azienda ha deciso di tenere il servizio, soprattutto in supporto dei medici di medicina generale e per evitare sovaffollamenti al pronto soccorso”. A parlare è Francesco Greci, un medico Usca, sigla che sta per unità speciale di continuità assistenziale. Si tratta di quelle squadre composte da un medico e da un infermiere, nate nel marzo 2020 per assistere i pazienti positivi al Covid a domicilio. Con la fine della fase di emergenza sarebbero dovute scomparire ma resteranno come squadre Covid di secondo livello, attivabili in casi particolari.
“Per pazienti con sintomi da più di 5 giorni, un valore di saturazione border line e casi di particolare fragilità”, spiega Greci. Le Usca forniscono inoltre consulenza ai medici di medicina generale che sono ora il punto di riferimento per i pazienti positivi con sintomi lievi e moderati e per la somministrazione dei farmaci antivirali, come il Paxlovid. Nel 2020 erano 79 i medici e 32 gli infermieri che lavoravano nelle Usca dei 6 distretti, oggi la loro attività è stata fortemente ridimensionata. Chiusi gli ambulatori in provincia, resta solo la base operativa nella casa della salute in via Brigata Reggio, in città.
“Siamo passati da 90 visite a settimana alle 20-30 di adesso”, sottolinea Greci. Dal primo al 6 luglio le unità di secondo livello hanno eseguito 17 visite a fronte di 60 richieste telefoniche, molte per consigli rispetto alle terapie intensive. Le Usca hanno portato le tecnologie ospedaliere a domicilio, eseguendo ad esempio le ecografie. In autunno il loro lavoro potrebbe essere riorganizzato nuovamente. “Con Aifa – racconta il nostro intervistato – abbiamo partecipato a un progetto per la somministrazione degli anticorpi monoclonali a domicilio”.
Reggio Emilia medici di base covid USCA Unità Speciali Continuità Assistenziale












