REGGIO EMILIA – Si è acceso il dibattito dopo che il ministero della Salute ha pubblicato le nuove linee guida sull’aborto farmacologico. Ma che cosa potrà effettivamente cambiare per le donne nella nostra provincia? E quante sono le donne che decidono di interrompere volontariamente una gravidanza? Ne abbiamo parlato con la responsabile di questo percorso per l’azienda Usl Irccs di Reggio.
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Le nuove linee guida sull’aborto farmacologico pubblicate dal ministero della salute annullano l’obbligo di ricovero dall’assunzione della pillola Ru486 fino alla fine del percorso assistenziale. Ma in Emilia Romagna le donne hanno già la possibilità di scegliere tra ricovero e day hospital: la Regione si era pronunciata nel 2010, sulla base delle indicazioni dell’Aifa. Anche sul nostro territorio si allunga fino alla nona settimana il periodo in cui si può ricorrere al farmaco. “Finora è stata ammessa fino alla settima settimana, con tempi ristretti che hanno tolto tempo di ripensamento alle donne, il fatto di dover proseguire fino alla nona settimana, può dare anche più tempo alla donna per il ripensamento”, spiega Angela Venturini, responsabile del Programma Interruzione volontaria gravidanza dell’Ausl.
Le donne che decidono di interrompere una gravidanza possono scegliere se farlo con la chirurgia oppure per via farmacologica: in questo caso sono necessari tre accessi in ospedale, due per assumere il farmaco e il terzo per un esame di controllo. In teoria è la strada che presenta meno complicazioni. Negli ultimi anni le interruzioni volontarie farmacologiche sono aumentate e quelle chirurgiche sono diminuite. Ma nel complesso le donne, sia italiane che straniere, abortiscono meno. Al Santa Maria Nuova, ad esempio, in sei anni sono calate quasi del 30%. “Funziona l’educazione contraccettiva, l’aggancio delle donne agli ambulatori, l’appropriarsi della loro fertilità”.
Ci sono ragazze giovanissime rimaste incinte oppure ultra 40enni che non vogliono più avere figli. Ma le motivazioni che spingono una donna ad abortire possono essere diverse, prima tra tutte la questione lavorativa. “Questa è emersa pesantemente negli ultimi anni, la mancanza di un lavoro regolare porta spesso la donna a questa scelta. Noi cerchiamo di attivare la rete di sostegno quando la donna decide di proseguire la gravidanza”.
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