REGGIO EMILIA – Negli ultimi 25 anni nella nostra provincia si è assistito a un calo del 34% delle interruzioni volontarie di gravidanza: da 1.127 a 753.
Un dato in contrasto con le previsioni di chi si opponeva alla legge 194, che da 44 anni in Italia garantisce alle donne il diritto di abortire, sostenendo che gli aborti volontari sarebbero aumentati. Dietro a questi numeri continuano però ad esserci storie di vita anche molto dolorose.
L’età media si è alzata: oggi, il 45% delle donne che decide di abortire si concentra nella fascia tra i 30 e i 39 anni. Solo 2 su 100 sono minorenni. Due pazienti su 3 sono italiane. Il fenomeno è legato alche ai flussi migratori, ma il calo si è registrato anche per le straniere: tra loro il numero degli aborti si è dimezzato negli ultimi 15 anni. Il 23% delle donne è disoccupata, il 14% casalinga.
La condizione lavorativa continua a incidere pesantemente: se il lavoro non dà garanzie, in molte temono di non riuscire ad allevare un figlio. Nel 2009, in alternativa all’intervento chirurgico, è stata introdotta la via farmacologica. Nel 2020 questa modalità ha superato la chirurgia: oggi, quasi il 60% delle donne che decide di abortire lo fa attraverso l’assunzione della Ru486. Ma neanche la pillola ha fermato il calo costante degli aborti. A Reggio Emilia, le interruzioni volontarie di gravidanza sono state centralizzate a Reggio e Montecchio, mentre a Castelnovo Monti si propone solo la via farmacologica.
La legge 194 garantisce ai professionisti la facoltà di rifiutare di praticare una interruzione di gravidanza: a Reggio è obiettore un ginecologo su 3, lo è anche il 23% degli anestesisti. Un dato che, dice l’Ausl, non impatta sul percorso.
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